Schettino, l'ex comandante in cella
«Pago per tutti, ora andiamo avanti»

Schettino, l'ex comandante in cella «Pago per tutti, ora andiamo avanti»
di Gigi Di Fiore - INVIATO
Sabato 13 Maggio 2017, 08:21 - Ultimo agg. 16:18
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Roma. Le sue speranze si sono spente alle 19,55. «Condanna confermata, mi dispiace» sono state le parole che al telefono Francesco Schettino si è sentito ripetere dal suo avvocato Saverio Senese. Non si era fatto molte illusioni, sapeva che il processo era disperato, che rischiava il carcere. E anche l'avvocato Senese, che lo assiste da due anni, dalla vigilia del processo d'appello a Firenze, glielo aveva fatto capire. Solo quattro ore è rimasta in camera di consiglio la quarta sezione penale della Cassazione, presieduta da Vincenzo Romis, un altro napoletano.
«Vado a bussare al carcere, credo nella giustizia, pago per tutti» sono state le parole di Schettino a telefono. Era a Roma da giovedì. Ci era andato in compagnia di un amico di vecchia data, sottufficiale della polizia giudiziaria che era con lui per evitare che fosse fermato prima che si costituisse. A Roma dal giorno prima, anche per scaramanzia: se fosse andata bene, avrebbe festeggiato con gli avvocati. La notte della vigilia, Schettino ha dormito poco, in casa di conoscenti, assalito da mille rimpianti. Prima di costituirsi, è rimasto in collegamento telefonico con gli amici stretti e l'avvocato Senese, che annuncia: «Faremo ricorso alla corte di Strasburgo, per violazioni di alcuni diritti difensivi. Purtroppo, in Italia c'è bisogno sempre di un capro espiatorio».

Da quel 13 gennaio di cinque anni fa, il nome di Francesco Schettino è famoso in tutto il mondo. Francesco Schettino, il comandante della nave Costa Concordia ormai smantellata, l'uomo bollato adesso dalla sentenza definitiva come principale responsabile del naufragio al largo dell'isola del Giglio costata la vita a 32 persone. Schettino il «comandante», Schettino simbolo italiano di vigliaccheria e luoghi comuni tanto da diventarne immagine in un programma segreto dell'agenzia statunitense di spionaggio in Rete, Nsa.
Fino a quel naufragio, il capitano di lungo corso per sei anni comandante di navi da crociera, traguardo da sogno per tanti marittimi campani e non, si considerava un uomo arrivato. In giro per il mondo, su grandi città galleggianti. Al momento del naufragio, tra i 3216 passeggeri c'erano 989 italiani, 462 francesi e 569 tedeschi. Fisiologica, per questo, l'attenzione mediatica di tutto il mondo, anche davanti al Palazzo della Cassazione. Fatale è stato un «inchino», la incauta tradizione crocieristica di navigazione delle città galleggianti a sfiorare quasi la costa. Un atto di abilità del comandante, una sfida di capacità tra chi, negli anni, si era succeduto a guidare le grandi navi delle vacanze lussuose. Quello del 12 gennaio 2012 è stato un «inchino» finito in tragedia, infranto sugli scogli delle Scole al largo dell'isola del Giglio.
Cinque anni tra riflettori, accuse, facili ironie. Schettino diventa uno dei personaggi di Maurizio Crozza, è bersaglio di polemiche per l'intervista concessa a pagamento in un programma Mediaset. E uno dei suoi avvocati, poi revocato, si fa beffare dalle «Iene», gestendo una trattativa fasulla per la partecipazione del comandante al programma «L'isola dei famosi». Partecipazione, inesistente, concordata per centinaia di migliaia di euro.

Pesa su tutto, ad accrescere le accuse e il negativo impatto mediatico, la famosa telefonata nella notte del naufragio, con il comandante della capitaneria di porto di Livorno, Gregorio De Falco. È un napoletano del quartiere Vomero, in servizio da anni alla capitaneria di porto toscana. Il suo è il terzo contatto, che segue anche quello della sala operativa di Roma, con il comandante Schettino, nel frattempo sbarcato a terra mentre sulla nave proseguono le operazioni di salvataggio. È l'una e 46, il comandante De Falco registra la conversazione e usa toni duri e severi. Ordina a Schettino di tornare sulla nave, gli chiede informazioni precise. Conversazione convulsa, con una frase diventata refrain famoso: «Salga sulla biscaglina di prua in senso inverso e coordini. Salga a bordo, cazzo!»
L'accusa più infamante per un comandante di nave è aver abbandonato la nave in naufragio, quando secondo i codici, la letteratura, le storie di Conrad e i luoghi comuni, dovrebbe essere sempre l'ultimo a scenderne. A Meta di Sorrento, dove è cresciuto e ha mosso i primi passi sulle imbarcazioni, Schettino ha atteso negli ultimi mesi che arrivasse il giorno della Cassazione. In compagnia degli amici stretti, dell'anziana madre, della figlia Rossana, del fratello, della sorella e di un cagnolino cui si era affezionato e che ora ha affidato ai suoi amici.

Il ribaltamento dell'immagine, anche dopo le due sentenze di condanna, non era opera facile. Ci aveva provato anche l'ultimo difensore: il penalista napoletano Saverio Senese, che è insieme con lui in un video di 17 minuti diffuso su Youtube e intitolato «L'onore del marinaio».

«Non sono più quello di una volta, la mia vita è cambiata nel dolore», ripete ora Schettino. Licenziato da tempo dalla Costa crociere, senza più lavoro, resta nell'immaginario collettivo il capitano che non ha tentato il riscatto del Lord Jim conradiano. Prima di entrare in carcere, dove ha atteso per un'ora l'arrivo del fax dall'ufficio esecuzione della Procura di Grosseto, ha salutato a telefono gli amici dicendo: «Non ho paura del carcere, fa paura solo la coscienza e la mia è pulita».