Schiacciata dal pino in via Falcone,
si riapre il processo per l'agronoma

Schiacciata dal pino in via Falcone, si riapre il processo per l'agronoma
di Viviana Lanza
Giovedì 6 Giugno 2019, 13:18
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Condanna definitiva per il vigile del fuoco Tiziano Fucci e nuovo processo d’appello per l’agronoma del Comune di Napoli Cinzia Piccioni Ignorato. Si chiude così, in Cassazione, il processo per la morte di Cristina Alongi, schiacciata da un pino in via Aniello Falcone la mattina del 10 giugno 2013. Il ricorso alla Suprema Corte era stato proposto dai due imputati. E, dopo una lunghissima camera di consiglio, i giudici della quarta sezione hanno deciso di confermare la condanna per il vigile del fuoco che prese la telefonata con cui il titolare di un bar di fronte ai giardinetti segnalava le condizioni di pericolo in cui vedeva il pino e che, secondo l’accusa, si limitò a girare la segnalazione al centralino dei vigili urbani senza decidere di inviare comunque sul posto una propria squadra per valutare l’effettivo rischio crollo: per Fucci, dunque, il processo si chiude con la condanna a un anno e quattro mesi per omicidio colposo.

Si riapre invece il processo per l’agronoma del Comune di Napoli accusata di aver negligentemente ignorato le condizioni del grande ramo che sporgeva dal tronco del pino dei giardinetti Nino Taranto quando, ad aprile 2013, quindi due mesi prima della tragedia, si trovò a fare un sopralluogo nella zona. Difesa dall’avvocato Diomede Gersone, l’agronoma Cinzia Piccioni Ignorato ha ottenuto l’annullamento della condanna (anche nel suo caso un anno e quattro mesi) con rinvio a un nuovo collegio della Corte d’appello. A sei anni esatti dalla morte di Cristina l’iter processuale, quindi, non è ancora definitivamente chiuso. I familiari della donna sono parti civili nel processo, rappresentate dagli avvocati Maurizio Sica e Luca Brignone. Intanto era già uscito dal processo il vigile urbano Marino Reccia, il centralinista della polizia municipale che prese la segnalazione girata dal vigile del fuoco: in Appello, difeso dall’avvocato Giuseppe Landolfo, era stato assolto e l’assoluzione è diventata definitiva. 

Nel ricostruire retroscena e cause del crollo dell’albero, l’accusa ha sempre sostenuto la tesi di «uno sconcertante scaricabarile» all’esito del quale «non intervenne nessuno». Cristina morì soffocata dai rami che invasero l’abitacolo della sua Fiat Panda presa in pieno dal tronco di un pino marittimo di 17 metri, che si piegò in due parti in una mattina di un fine primavera incerto come quello di quest’anno. Ma non avvenne all’improvviso: secondo i giudici e i magistrati che hanno condotto le indagini, quel pino faceva paura da tempo, perché aveva una chioma troppo folta e pesante. Nelle motivazioni della sentenza d’Appello si parla di «alcuni inquietanti segni premonitori». Li aveva notati chi abitava o lavorava in zona, e il titolare del bar vicino ai giardinetti di via Aniello Falcone l’aveva persino segnalato con una telefonata al numero di emergenza finita agli atti del processo, tra le principali fonti di prova dell’accusa. Ma come si presentava l’albero nei mesi e nelle settimane che precedettero la tragedia? «Si stava inclinando, mostrava strane oscillazioni, lasciava intravedere le radici e sembrava in qualche modo sbilanciato a causa soprattutto di uno dei rami che s’era oltremodo allungato e sporgeva sulla strada». 

È il 27 maggio 2013, alla tragedia mancano pochi giorni. «Senta quell’albero è in bilico, sta cadendo...» dice il titolare del bar contattando il centralino dei vigili del fuoco. Chi prende la telefonata, secondo l’accusa, sottovaluta il caso, non manda una squadra a controllare e non trasmette la gravità della segnalazione che gira alla polizia municipale. Eppure, quel giorno, dall’elenco degli interventi dei vigili del fuoco non emerge una particolare urgenza degli interventi effettuati, tutte cose di routine, senza rischi particolari: rimozione di un nido di vespe, porte da aprire, infiltrazioni d’acqua piovana in qualche cantina. 

Quel pino lo notano in tanti in via Aniello Falcone, tra chi viveva e chi lavorava in zona. Del ramo folto e sporgente, delle cicatrici sul tronco e di qualche radice troppo in vista capita di discuterne al bar e parlarne tra condomini. Uno dei residenti - è un sabato mattina di maggio 2013 - si prende la briga di andare personalmente al Comune di via Kerbaker. Ma alla fine, racconta il testimone, «nessuno è venuto».
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