Sciolti nell'acido: da Brusca ai Polverino la stessa violenza

"Omicidio Esposito? A sparare fu il killer di Giaccio"

Sciolti nell'acido: da Brusca ai Polverino la stessa violenza
di Leandro Del Gaudio
Giovedì 18 Maggio 2023, 15:53 - Ultimo agg. 19 Maggio, 07:22
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In principio è stato lui, Giovanni Brusca, uno dei killer più spietati della storia della mafia, prima di passare a collaborare con la giustizia: era al centro di una collinetta di Poggio Vallesana, feudo della famiglia Nuvoletta e dava lezioni pulp. Anno 1984, Giovanni Brusca, nella sua breve missione maranese, spiegava agli uomini di don Lorenzo (affiliati alla mafia) cosa fare per squagliare i morti uccisi nei bidoni di acido. Da allora, quelli di Marano, dai Nuvoletta ai loro discendenti Polverino, sembrano aver ereditato una competenza tecnica gestita in via esclusiva.

E' questa la ricostruzione che emerge dalle carte degli arresti di tre presunti esponenti del clan Licciardi, accusati di aver organizzato la trappola mortale costata la vita a Salvatore Esposito, ucciso il 27 settembre del 2013, per aver intrecciato una relazione sentimentale con la moglie di un boss dei Licciardi detenuto, punito anche per aver raccontato in giro altre esperienze extraconiugali che la donna avrebbe vissuto. Esposito fu ucciso e sciolto nell'acido, grazie alla collaborazione di uomini del clan Polverino, disposti a fornire know-how, uomini e mezzi, per venire incontro alle richieste del clan Licciardi. Ucciso nei valloni di Chiaiano, dopo essere stato attirato in una trappola, costruita a freddo da soggetti del calibro di Raffaele Prota (difeso dagli avvocati Salvatore D'Antonio e Gennaro Pecoraro), Gianfranco Leva (difeso dall'avvocato Giuseppe Biondi), Paolo Abbatiello (difeso dall'avvocato Imma Panico), in uno scenario che vede almeno altri otto soggetti finiti sotto inchiesta, sui quali vanno avanti le indagini dei pm Carrano, Loreto, Serio.

Inchiesta condotta dai carabinieri del comandante provinciale Enrico Scandone, e dai carabinieri del Ros, sotto la guida del comandante Andrea Manti, conviene soffermarsi sul materiale di indagine finito agli atti, secondo quanto emerge dalla misura cautelare firmata dal gip Maria Gabriella Iagulli. 

Restiamo all'uso dell'acido. Esiste una scia rosso sangue che attraversa almeno quattro decenni, che passa proprio attraverso i casi di morti ammazzati e sciolti nell'acido. Se ai tempi di Giovanni Brusca .- ripetiamo: anno 1984 - vennero uccisi cinque rivali dei Nuvoletta (gli omicidi di Vittorio Vastarella, Luigi Vastarella, Gennaro Salvi, Gaetano Di Costanzo, Antonio Marano, tutti degli Alfieri-Bardellino, come hanno rivelato le indagini condotte Giuseppe Borrelli, oggi procuratore a Salerno), negli anni successivi l'acido è stato usato anche in altre circostanze.

Siamo a luglio del 2000, quando viene ucciso per errore Giulio Giaccio. Aveva 26 anni, faceva il manovale e fu sequestrato e ucciso da killer del clan Polverino, che sbagliarono persona. Anche in questo caso, si trattava di ammazzare un affiliato della zona, reo - secondo il tribunale della camorra - di aver intrecciato una relazione extraconiugale con un detenuto dei Polverino. E c'è un aspetto che salta agli occhi, almeno a seguire il lavoro dei carabinieri, che riguarda un'altra possibile analogia tra il delitto di Giaccio (vittima estranea alla camorra) e quello di Salvatore Esposito: a premere il grilletto per uccidere Esposito sarebbe stato il 65enne Carlo Nappi, secondo il racconto reso dal pentito Giuseppe Simioli; Nappi - conviene ricordare - è lo stesso che viene accusato di aver ucciso l'operaio Giaccio. Verifiche in corso anche sul ruolo di altri indagati, che avrebbero preso parte a quella sorta di rito macabro che culminò nello scioglimento dell'acido. Ed è questo uno dei punti forti dell'inchiesta sull'omicidio di Salvatore Esposito. Come è noto, al di là del narrato di Giuseppe Simioli (che figura tra gli indagati di questo omicidio), ci sono le intercettazioni ricavate grazie a una ambientale piazzata dai carabinieri del Ros guidato dal comandante Manti, tra il 2020 e il 2021, dalla quale sono emersi diversi spunti di indagine all'ombra della cosca dei Licciardi.  Ed è Simioli a ricostruire la fase della distruzione del corpo di Salvatore Esposito, dopo i colpi di pistola alla testa: "Il cadavere? Venne immerso in un bidone con l'acido che era stato riscaldato da un bruciatore. Una operazione che durò circa un'ora e mezza". Un anno fa, Simioli ha anche accompagnato i carabinieri del Ros a Chiaiano mostrando i segni di un'azione criminale avvenuta nove anni prima. In sintesi, il pentito ha indicato in un capannone abbandonato un fornello bruciatore, con un rubinetto e un tubo di gomma. Era il kit del delitto di Esposito e della scomparsa dei suoi resti umani. Sono passati decenni dalla lezione di Brusca, ma le nozioni del mafioso sembrano essere state apprese con precisione dalle nuove leve di camorra.

Ma torniamo al movente passionale del delitto Esposito. Tutto nasce da una lettera anonima, che allarma i vertici del clan Licciardi sulla tresca tra Esposito e la moglie di un boss detenuto. "Una storia che conosce tutta Napoli", urla Gianfranco Di Leva, senza sapere di essere sotto intercettazione. Mentre ai vertici del clan si muove una sorta di intelligence interna, che spinge Regina (una delle discendenti della famiglia di Masseria Cardone, estranea al delitto, ndr) a usare un registratore per acquisire informazioni in famiglia e inchiodare il traditore. Storie criminali che ora attendono la versione dei primi tre soggetti finiti in cella, per un cold case risolto dieci anni dopo grazie a intercettazioni, sopralluoghi e pentiti. 

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