Hooligans, camorristi e neofascisti: chi erano gli infiltrati nel corteo a Napoli

Hooligans, camorristi e neofascisti: chi erano gli infiltrati nel corteo a Napoli
di Leandro Del Gaudio
Sabato 24 Ottobre 2020, 23:00 - Ultimo agg. 25 Ottobre, 12:40
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Hanno infiammato e cavalcato la protesta, fedeli a un copione noto e tristemente sperimentato a Napoli. Hanno sostenuto e rafforzato la rabbia crescente dal basso, facendola esplodere nel modo più violento, ad un segnale concordato. All’inizio si sono mossi in sella a centinaia di motorini, «scortando» il corteo partito da largo San Giovanni Maggiore Pignatelli, per poi scatenare la guerriglia nel punto politicamente più impegnativo e ad alto contenuto simbolico: via Santa Lucia, di fronte alla regione Campania, contro il presidente della regione Vincenzo De Luca. Un assalto, una guerriglia scatenata quando l’anima pacifica della manifestazione (tra commercianti e forze sociali) si era ormai già da tempo ritirata. 

 


Chi erano? Accanto ai commercianti che avevano dato vita al raduno anti coprifuoco, si è mosso un gruppo eterogeneo: negazionisti di estrema destra, che non accettano le misure anticovid semplicemente perché non riconoscono nel covid un problema reale, ma solo uno strumento di controllo delle masse. Accanto a loro, c’erano teppisti da stadio; e soggetti legati ai clan cittadini (Elia di Pizzofalcone, Saltalamacchia della Pignasecca).

Una fusione pericolosa, purtroppo non inedita nella storia della città. Un abbraccio che risale addirittura alla rivolta contro la discarica di Pianura (anno 2008) e che entra in gioco per motivi strategici come forza d’urto da usare contro la polizia. Ma torniamo al corteo dei commercianti. C’è un prequel, che risale a giovedì scorso, 24 ore prima degli scontri. In strada si presentano i primi commercianti pronti a violare il coprifuoco previsto alle 23 del 23 ottobre, mentre c’è chi affila le armi della protesta. Un’organizzazione partita tramite la messaggistica di whatsapp e telegram, c’è un solo ordine da rispettare: niente attacchi alla polizia prima di arrivare in via Santa Lucia. Solo caos, con il carosello di motorini che accompagna il corteo, mentre vengono scanditi gli slogan «libertà-libertà», per protestare contro il coprifuoco. E non è un caso che, alla fine del comitato per l’ordine pubblico che si è tenuto ieri sera, i vertici della Prefettura parlano esplicitamente di «infiltrati», in una manifestazione nata dal comprensibile disagio economico che si è abbattuto sul contesto urbano.

Ma arriviamo a pochi metri dalla Regione, in via Santa Lucia. Per capire chi sono i protagonisti dell’assedio basta guardare i loro movimenti. Hanno la stessa mimica degli hooligan da stadio. Sembrano burattini. Si muovono a scatti, con le braccia fanno su e giù, hanno il volto travisato - tra mascherine e cappelli con visiera - sono a loro agio anche contro i lacrimogeni esplosi dalla polizia. Hanno perso il loro habitat - gli stadi - e l’hanno ritrovato la scorsa notte per le strade che dovevano essere isolate per il primo coprifuoco della seconda ondata. Odiano le forze dell’ordine e i giornalisti, target principali della loro violenza.

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Teppisti da stadio, camorristi in erba, negazionisti di estrema destra. Tra loro c’è la rabbia di chi ha perso un lavoro o una fonte di reddito (come cameriere a chiamata, come parcheggiatore abusivo, come pusher nella movida), ma c’è anche il tentativo di forzare la mano. E qui interviene una possibile matrice politica. Sin dalle prime ore di ieri mattina, nel commentare gli scontri, c’è chi parla esplicitamente di Forza nuova (anche se al momento non ci sono riscontri in merito), un soggetto politico extraparlamentare e reazionario, attestato ideologicamente su posizioni di estrema destra. No Europa, no covid, no ordine mondiale. Napoli così diventa laboratorio nazionale della protesta. Ma restiamo in via Santa Lucia. Basta guardare le immagini dall’alto (ieri veicolate da diversi siti di informazione) per capire chi sono i protagonisti della notte di scontri. Quelli del corteo non hanno atteso un pretesto per assaltare la polizia. Non avevano bisogno della scintilla per scatenare l’inferno. 

Ma si sono mossi appena hanno avvistato le divise messe a presidiare il palazzo del governo regionale. Anche questo faceva parte della strategia. Prima sassaiole e oggetti contundenti, poi bottiglie incendiarie, sampietrini, pezzi di metallo ricavati dalla segnaletica stradale. Hanno impedito ai vigili del fuoco di intervenire di fronte ai cassonetti della spazzatura in fiamme, hanno distrutto auto in sosta, hanno preso di mira le camionette di polizia e carabinieri: ce n’è abbastanza per spingere la Procura di Napoli a ipotizzare l’accusa di devastazione: in campo la Dda di Napoli, il pool antiterrorismo e la sezione che si occupa di reati da stadio. Indagine coordinata dal procuratore Gianni Melillo. 

Come ad Arzano, dove si è registrato il primo dissenso violento al lockdown imposto dal prefetto, anche a Napoli c’è una presenza della camorra. Per quale motivo? Questione di consenso e di controllo del territorio, specie quando in città si abbatte il coprifuoco, si spegne la movida, che chiude i canali principali per la vendita di droga e per il riciclaggio del denaro sporco. Specie quando il malessere sociale diventa il terreno ideale per rigurgiti di stampo eversivo.
 

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