Fassino: «Seppi da don Riboldi che mio padre lo aveva salvato dai nazisti»

Fassino: «Seppi da don Riboldi che mio padre lo aveva salvato dai nazisti»
Martedì 12 Dicembre 2017, 09:04
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Acerra. «Un saluto commosso e grato a don Antonio Riboldi che da giovane novizio fu sottratto alla rappresaglia nazista da mio padre Eugenio e dai suoi partigiani. Ha speso la sua vita per gli ultimi, i deboli ed i sofferenti». Il tweet è stato postato da Piero Fassino, e in poche ore ricevuto un alto numero di mi piace e di condivisioni. Ma soprattutto ha destato molta curiosità. Che vale la pena di soddisfare.
Onorevole Fassino, parliamo di due uomini fuori dal comune. Suo padre Eugenio, antifascista e partigiano, soprannominato «Geni Bocia» fu il comandante della 41esima brigata Garibaldi operante tra la Val di Susa e la Val Sangone in Piemonte. Don Riboldi, all'epoca, era studente appena ventenne di filosofia e teleologia al Sacro Monte Calvario di Domodossola. Cosa successe?
«Don Riboldi era un giovane novizio, sfollato insieme ad altri suoi colleghi nell'abbazia Sacra di San Michele, all'imbocco della Val di Susa. Con loro c'era anche un nutrito gruppo di ebrei. Insieme tentavano di sfuggire alle rappresaglie dei nazisti che scorrazzavano tra le cittadine piemontesi. Era il settembre del 1943 e mio padre già operava in zona con i suoi partigiani».
E in che modo gli salvò la vita?
«I nazisti erano stati informati della presenza degli ebrei ed erano in procinto di fare una retata, ma mio padre fu avvisato in tempo: si precipitò nell'abbazia e porto con sé tutti gli sfollati prima che giungessero le truppe tedesche. Se li avessero trovati, quasi certamente sarebbe finita molto male per tutti».
Chi le ha raccontato questa storia? Suo padre?
«Assolutamente no. Anzi io ne sono stato all'oscuro fino al 2004. Me la raccontò don Riboldi in persona».

 

Don Riboldi? E in che modo?
«All'epoca ero segretario dei Ds, quando don Antonio mi telefonò. Buongiorno, lei è figlio di Eugenio Fassino?, mi chiese. Io annuii e lui di rimando: Suo padre mi ha salvato la vita».
E lei cosa fece?
«Rimasi profondamente colpito da quell'uomo che fino ad allora avevo conosciuto solo attraverso le cronache dei giornali ed ascoltai in silenzio quella storia che mi fu raccontata, sebbene fossero passati molti anni, con dovizia di particolari per me totalmente inediti».
Ma poi ne avete parlato da vicino?
«Qualche settimana dopo quella telefonata andai a trovarlo ad Acerra. Ci abbracciammo e parlammo a lungo. Riboldi era una persona straordinaria che fino ad allora avevo avuto modo di incontrare solo fugacemente nel corso di qualche convegno. La sua vita è stata interamente dedicata agli ultimi, ai deboli ed ai sofferenti, ma anche contro le mafie. Era un uomo, un pastore fuori dal comune».
E da allora ci sono state altre occasioni di incontro?
«Purtroppo no, ma ogni anno ci siamo reciprocamente inviati gli auguri e i saluti. Qualche anno fa gli ho mandato un libro sulla Resistenza, in cui c'era una parte dedicata a mio padre Eugenio e che don Antonio ha apprezzato molto».
Pensa di essere presente ai suoi funerali?
«Purtroppo non ce la farò ad esserci, mercoledì prossimo sarò a Parigi per impegni politici. Mi dispiace moltissimo».
en.ferr.
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