Serenata neomelodica dal balcone
(con offerta) nel centro di Napoli

Serenata neomelodica dal balcone (con offerta) nel centro di Napoli
di Giuseppina De Rienzo
Martedì 21 Febbraio 2017, 08:50 - Ultimo agg. 09:32
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Lo slargo di una piazza, l'angolo di una strada, l'affaccio di un ballatoio, ed è teatro. Nel cuore di Napoli, su un balcone di via Atri, vanno in scena pure i fratelli Grimm. Un redivivo «pifferaio», Antonio Borrelli detto «Topolino», il sabato mattina e pomeriggio, e la domenica solo di mattina, s'impegna a rappresentare l'antica fiaba, raffigurandola però al contrario. Con un microfono da karaoke invece del magico piffero, attira con la sua musica turisti e passanti fin sotto i muri della sua piccola casa al primo piano; non per accompagnarli fuori dal labirinto delle stradine, o lontano dalla città, ma per tenerli là nel vicolo, incantati, a farsi pervadere dalla magìa di un sound vitale e gioioso, lo stesso che scorre e rimbomba sotto la pavimentazione stradale, e dentro l'aria intorno. Lasciandoli così, per un po' immemori di tutto, anche dei più nobili richiami del Cristo velato della Cappella Sansevero a un passo. 
 


Oppure del prezioso campanile romanico di Pietrasanta alle spalle, o del misterioso Pulcinella, opera dello scultore Lello Esposito, messo a guardia dell'altra contigua viuzza densa di storia: Vico del Fico al Purgatorio ad Arco. Pochi sospiri, allora, e pochi mandolini. Nei luoghi preposti alla musica di strada, dall'arena di piazza San Domenico all'intrico delle stradine limitrofe fino al vicolo di via Atri, è come se un tacito accordo tenesse in ombra le note lacrimose. Non più quindi la «fenesta ca lucive e mo nun luce», oscurata dalla morte della «nénna» che vi si affacciava, celebre racconto della tradizione orale seicentesca, ma ritmi di sangue, eredi forse di un'ultima possibile rivoluzione: non soltanto sopravvivenza, ma vivere, utilizzando (nonostante tutto) la gioia. Sembra questo il dato che oggi ammalia chi si avventura per i visceri di Napoli. Lo sa bene Tonino Borrelli, fin da quando per la prima volta si è affacciato al suo «balcone della canzone» provando a dare concretezza a una precisa esigenza: ricorrere alla musica come strumento di allegria, nonché di riscatto.

Intanto per sé, per sanare una vita fino ad allora difficile, controversa, che non gli ha risparmiato neppure la galera. Infine la svolta. Prima, la casetta al primo piano di Via Atri assegnatagli dalla Curia napoletana dedita anche alla riabilitazione e reinserimento sociale degli ex detenuti; poi l'ariosità «d''o balcon r''a canzon», come Borrelli stesso definisce la sua striscia di palcoscenico. Infiorandolo di edera di plastica verde lungo la ringhiera, e finti serti di limoni, agli, cipolle viola, assegna un ruolo centrale anche alla corda abbagliante che regge un paniere di vimini, accostandolo fino a un metro da terra, per consentire agli spettatori accalcati sotto, di fare la loro libera offerta. «Non vi scordate o panàro», suggerisce con garbo tra una canzone e l'altra, scuotendo un po' la fune del cesto, utensile tuttora in uso in alcune zone di Napoli; calato da balconi e finestre ancora accoglie i piccoli pesi della spesa di ogni giorno. Segnali, questi, di una scenografia consapevole dei cambiamenti, ma attenta a tenere uniti vecchio e nuovo, antico e contemporaneo. E Borrelli alias «Topolino», comparendo dal balcone per intonare melodie, ben incarna la sapienza nell'arte di arrangiarsi, quello scatto spesso geniale che anima l'indole partenopea. La musica salva. Antonio lo ha sperimentato sulla propria pelle, fin da bambino, quando a cinque anni già bruciava di passione per il canto, e suo padre, intuendo il suo talento, lo accompagnava in ristoranti e locali facendolo esibire in piedi su una sedia. Una postazione di superiorità, se non altro visiva, che deve averlo segnato, come racconta lui stesso. «Noi napoletani siamo bravi a inventarci mestieri», gli disse Sergio Bruni, che incontrò nel 1982.

Parole che, scavandogli dentro, lo hanno fatto via via maturare verso la creazione del suo «balcone», dove con piglio da inventore ha capovolto il consueto prospetto scenico tra musicanti e fruitori: menestrelli in basso, e omaggiati in alto, assestando una svolta anche alla sua esistenza. Napoli è «la canzone», sostiene lui. «Allora perché tanto onore solo al balcone di Romeo e Giulietta?», azzarda. Una convinzione che gli fa diramare, tramite la sua pagina Facebook, inviti a coppie di sposi richiamandoli fin sotto il suo balcone, tentandoli con appassionate serenate dall'alto. Napoli è Napoli, continua, accendendo gli occhi da eterno scugnizzo. Nel suo vario repertorio canoro, da «Malafemmina» di Totò, a «'A pizza», un successo di Aurelio Fierro che puntualmente manda in visibilio la piccola folla accalcata sotto il balcone di via Atri, Tonino tiene a isolare «Carmela», nota canzone di Sergio Bruni. «Che vi credete? - insiste - Carmela non è né Carmelina né Concettina E' Napule, capite? Napoli che resta là, ferma: rosa preta e stella, che chiagne sulo si nisciuno vede, e strille sulo si nisciuno sente. È Napoli, dove pure o sole passa e se ne fuje».
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