Sibillo, rimosso l'altarino a Napoli: «Io in ginocchio davanti al busto, così il clan imponeva il pizzo»

Sibillo, rimosso l'altarino a Napoli: «Io in ginocchio davanti al busto, così il clan imponeva il pizzo»
di Leandro Del Gaudio
Giovedì 29 Aprile 2021, 08:30 - Ultimo agg. 19:07
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In ginocchio nel palazzo della «buonanima». Bastava evocare il nome, per dare inizio alla richiesta estorsiva. Poi, in alcuni casi, calci e pugni, fino a trascinare un commerciante in quel vicolo del centro storico più bello del mondo. Siamo nel 2018, in via San Filippo e Giacomo, quando qualcuno «si fa sotto» a un commerciante del posto, gli impone di andare nel palazzo della «buonanima», che per tutti - da queste parti - sta per Emanuele Sibillo, la cui traiettoria criminale (ucciso a 19 anni, era il capo della paranza dei bambini, sponda Contini) è ancora radicata nel corpo di Napoli. Sulle mura in zona Decumani («E.s. regna», scrivono), sulla pelle di chi ha pagato il pizzo. Ed è così che un commerciante viene trascinato in quel palazzo dove era stata eretta la cappella votiva, a pochi passi dalla scuola media Confalonieri, per l'inchino a «buonanima», tanto da spingere i pm a scrivere: «Quell'altare non è solo un abuso, non è solo simbolo di devozione privata. È un simulacro di potere camorristico e chiaro segnale di marcatura territoriale». Inchiesta dei pm Celeste Carrano e Urbano Mozzillo, sotto il coordinamento dello stesso procuratore Gianni Melillo, si legge nel sequestro: «L'edicola non nasce dal sentimento di pietà verso un defunto, ma per far sentire la forza di intimidazione del clan a tutta la zona». Decisivo il lavoro dei carabinieri del comando provinciale di Giuseppe Canio La Gala, che hanno acquisito le dichiarazioni di alcune vittime del racket, tra cui il racconto di un esercente costretto a una sorta di inchino: «Mi chiesero 50mila euro. Lo fecero nel palazzo della buonanima. Mi dissero: Zio, questa cosa vi costa 50mila euro, sappiamo che avete le case di proprietà, datemi i soldi o la casa di al fondaco di San Paolo». Poi l'affondo finale, con queste parole che sarebbero state rivolte al titolare del negozio taglieggiato: «Se pensate di andare dalle guardie - dissero quelli dei Sibillo -, dopo di noi ci sono altre dieci persone che vi possono uccidere». Una vicenda per la quale sono sotto inchiesta Romano, ma anche Somma, Montanino, Napoletano, Rossi.

 

Ma l'inchiesta sull'altare di Sibillo occupa uno spazio a sé, anche nell'ambito delle indagini sulla faida tra i Mazzarella e quelli dell'Alleanza di Secondigliano (di cui i Sibillo sarebbero una costola), per la conquista del racket sul food (agli atti le pressioni alla pizzeria Vesi), in una zona ad alta concentrazione di turisti. Ed è così che nelle ultime settimane, gli interrogano i proprietari dell'edificio in cui viene eretto quell'obbrobrio, in onore di Sibillo. Tutti i proprietari ricordano che la cappella (struttura in alluminio, paramenti sacri e ceneri funerarie) ha sostituito dal giorno alla notte una precedente edicola dedicata alla Madonna. Nessuno si ribella in un antico condominio e a nulla servono alcune recriminazioni all'amministratore di condominio. Già, l'amministratore. Si tratta di un avvocato che ai proprietari del palazzo «minimizza» i costi di corrente elettrica impiegata per illuminare la statua di Emanuele Sibillo. Poi, quando viene ascoltato dai carabinieri, si rende protagonista di dichiarazioni «inverosimili e inquietanti», per usare le espressioni degli inquirenti napoletani. Negava che fossero state apportate modifiche strutturali all'antica cappella votiva, aggiungendo che nessuna «recriminazione era provenuta dai condòmini». E invece agli atti finiscono le accuse dei proprietari di casa in via San Filippo e Giacomo, che raccontano tutt'altra storia: svelano il clima di soggezione imposto dal clan, fanno riferimento a Vincenzo Sibillo e Anna Ingenito (i genitori del boss emergente), ricordano le lagnanze indirizzate all'amministratore di condominio.

Inutile dire che, in questi anni al Comune non è arrivata alcuna istanza di modifica di un edificio protetto sotto il profilo monumentale.

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Brutto clima in zona Decumani, specie alla luce della ripresa delle attività di ristorazione dopo un anno di lockdown. Sentite poi cosa dice Josuè Napoletano, padre del famigerato Nannone, killer minorenne della paranza, quando si rivolge a un muratore: «Vallo a dire al tuo capo, se vuoi lavorare qua si paga». Poi, le ronde dei Mazzarella: siamo nel 2019, quando vengono arrestati quattro esponenti dei Sibillo (poi condannati pochi mesi fa a dieci anni di reclusione), quando iniziano le ronde da piazza San Gaetano a via Atri e nei Decumani di tale Iodice, alias o chiovo, uomo dei Mazzarella. Viene intercettata Valentina, che chiama una parente e urla: «Tieni i bambini a casa, tienili dentro». E ancora: «Sono in sei, in sella a tre scooter, hanno anche distrutto la moto di Nannone». Partono le contromosse. Vengono intercettate telefonate tra i Sibillo liberi e i capi detenuti, come Antonio Napolitano (recluso a Teramo), contattati grazie ai minicellulari portati da alcune donne in cella. Scatta la vendetta, da domani, promette un affiliato, «tornano i Samurai». 

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