Ucciso a 19 anni dalla babygang, la mamma di Simone: «Non perdonerò mai i killer, voglio giustizia»

Ucciso a 19 anni dalla babygang, la mamma di Simone: «Non perdonerò mai i killer, voglio giustizia»
di Pino Neri
Venerdì 11 Giugno 2021, 10:47
4 Minuti di Lettura

«Sono credente e quindi contro la pena di morte. Ma sono per l'ergastolo, questo sì. Ho potuto vedere mio figlio in obitorio solo quattro giorni dopo che fu ammazzato. Il suo corpo era martoriato. Nove coltellate: una violenza barbara». Non lascia spazio a interpretazioni l'appello al fine pena mai per gli assassini di suo figlio, un appello rivolto da una distrutta Natascia Lipari, mamma di Simone Frascogna, lo studente di 19 anni ucciso per non essersi piegato alla protervia di una baby gang, la sera del 3 novembre a Casalnuovo. Natascia ieri ha partecipato, vestita a lutto, al sit-in organizzato dagli amici di Simone davanti al tribunale di Napoli, dove si è aperto il processo al presunto omicida maggiorenne, Domenico Iossa, diciottenne di Pomigliano. Gli altri due giovani imputati per lo stesso reato sono minorenni. Per loro l'inizio del processo è fissato presso il tribunale dei minori il prossimo l'8 settembre. Giustizia per Simone, Siamo tutti Simone, le frasi scritte accanto alla foto del ragazzo ammazzato, sullo striscione steso ieri davanti al tribunale di Napoli. Durante la prima udienza del processo, presso la prima sezione della Corte d'Assise (presidente Teresa Annunziata, giudice a latere Giuseppe Sassone, pm Patrizia Mucciacito) si sono costituiti parte civile i familiari di Simone, l'associazione Polis e il Comune di Casalnuovo. Parte civile anche l'amico di Simone scampato alla morte in quella maledetta sera di novembre, Luigi Salamone, che durante l'aggressione fu il primo a ricevere le coltellate da Iossa, tre fendenti che per fortuna gli procurarono ferite non gravi. Secondo quanto sostenuto dagli inquirenti Simone morì proprio nel tentativo di Salvare l'amico in pericolo.

Il video che racconta quei momenti tragici è agli atti del processo.

Si tratta della registrazione di una telecamera di videosorveglianza urbana. Prossima udienza il 15 luglio, con l'inizio dell'istruttoria. «Speriamo che questa vicenda venga chiarita dice l'avvocato della famiglia Frascogna, Antonio Pelliccia - e che venga restituita giustizia a Simone, ucciso per un gesto eroico». Ieri il legale della difesa, l'avvocato Antonio Iorio, non ha rilasciato dichiarazioni. L'accusa punta a dimostrare l'omicidio aggravato da futili motivi e crudeltà, il tentato omicidio e il porto abusivo di arma. 

I tre furono arrestati dai carabinieri poco dopo l'omicidio. Principale imputato è Iossa, ragazzo già legato per motivi familiari ad ambienti molto difficili. Anche C.B. e A.T., 17 anni, di Casalnuovo, detenuti nelle carceri minorili di Nisida ed Airola, hanno a loro volta parenti gravitanti in ambienti a rischio. Sul groppone di Iossa pende l'accusa di aver sferrato le nove coltellate che uccisero Simone e gli altri tre fendenti che ferirono Luigi Salamone, che si trovava nell'auto guidata da Simone. Anche gli altri due imputati sono accusati di omicidio volontario in quanto stando alle indagini parteciparono all'aggressione con calci e pugni sollecitando l'accoltellamento con urla terrificanti. Un omicidio assurdo. Sempre in base all'indagine Simone la sera della tragedia aveva incrociato lo sguardo di Iossa, che non digerì la cosa. Ma tu non sai a chi appartengo?, la minaccia rivolta da Iossa a Simone durante un teso inseguimento tra le rispettive auto ingaggiato per le strade di Casalnuovo. Scintille da cui scaturì un battibecco degenerato in un confronto fisico sul marciapiede, a pochi metri dalla piazza del municipio, lungo il corso Umberto. Dopo il fatto i tre arrestati furono accusati dalle forze dell'ordine di essersi dati alla fuga nel tentativo di inquinare le prove. Le telecamere del sistema di videosorveglianza urbana filmarono tutto.

Simone, studente ormai prossimo al diploma, iscritto al quinto superiore dell'Isis Europa, ha lasciato nella disperazione una mamma, casalinga, un papà, Luigi, venditore ambulante, un fratello maggiore, cuoco di ristorante, e una sorellina di undici anni. «L'omicidio di mio figlio - tiene a dire Natascia Lipari - non è stato un semplice atto di bullismo: è stato un agguato di camorra partorito da una mentalità mafiosa». 

© RIPRODUZIONE RISERVATA