Sma, fanghi di depurazione e tangenti: «In quel bacino non lavora nessuno ma da lì escono voti»

Sma, fanghi di depurazione e tangenti: «In quel bacino non lavora nessuno ma da lì escono voti»
di Leandro Del Gaudio
Venerdì 26 Febbraio 2021, 11:00
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«Anche l'assessore deve essere soddisfatto». Parla dell'assessore, dell'onorevole, del consigliere, insomma di un soggetto che sembra rivestire una veste istituzionale, nelle stanze della Regione Campania. Un uomo politico (o un amministratore) che «deve essere soddisfatto» (nel senso che deve essere accontentato), nell'ambito di un affare che viene curato da tale Giovanni Caruson, un imprenditore ritenuto vicino a soggetti di un clan del Vomero, da due giorni finito agli arresti domiciliari. Viene ritenuto personaggio chiave dell'inchiesta Sma, che fa leva su un'ipotesi di fondo: nel pieno dell'emergenza dei rifiuti in Campania, la gestione dei fanghi prodotti dai depuratori regionali è diventata una grande torta buona per gli appetiti di imprese in odore di camorra, di politici a caccia di voti e tangenti. Per anni le cose sono andate in questo modo: gli appalti per lo smaltimento dei fanghi andavano sempre agli stessi imprenditori, grazie alla sapiente gestione dell'emergenza, che consentiva di affidare commesse a trattativa diretta. Niente appalti, nessuna gara. Tutto in affido, tutto in una proroga infinita che consentiva agli stessi imprenditori di ottenere commesse blindate, grazie ad accordi e compromessi al ribasso: da un lato, venivano «retrocesse» tangenti ai propri sponsor politici e amministrativi; dall'altro non c'era alcun problema a sversare in mare quei fanghi che dovevano essere trattati con costose procedure di gestione. È accaduto nei primi mesi del 2018 (da febbraio a maggio) sulla costa casertana, secondo quanto emerge da una intercettazione di due direttori di impianti. Ma torniamo ai personaggi chiave di una inchiesta condotta dai pm Ivana Fulco e Henry John Woodcock, sotto il coordinamento del procuratore Gianni Melillo, culminata ieri in tredici arresti ai domiciliari, tre in cella e nella sospensione di alcuni poliziotti di Ponticelli che avrebbero coperto un imprenditore ritenuto corrotto e in odore di camorra. Verifiche condotte dalla Finanza del comandante Agostino Tortora, del capo della Mobile Alfredo Fabbrocino, entriamo nelle pieghe di una inchiesta che parte da una sorta di conferma: il clima di appeasement della politica regionale (tra maggioranza e opposizione) nei confronti della nomina di presidente della commissione alle partecipate Luciano Passariello (Fratelli d'Italia), indagato a piede libero (nei suoi confronti, il gip ha rigettato una richiesta di arresto). Ma è ancora il gip Vincenzo Caputo a bollare come «censurabile» (non da un punto di vista penale) la scelta di lasciare l'affare sma nelle mani di Di Domenico, emanazione diretta di Passariello, alla luce di una esigenza politica: silenziare l'opposizione in seno al consiglio regionale.

E una conferma di questo scenario viene fuori dalle intercettazioni a carico di soggetti chiave. È il caso dell'imprenditore Salvatore Abbate, una sorta di re delle bonifiche (specie a Napoli est): ha gestito decine di aziende in tutta Italia, ha un centinaio di dipendenti, ha potuto godere di coperture istituzionali (per le quali è agli arresti domiciliari un sostituto commissario di Ponticelli); due giorni fa gli hanno sequestrato qualcosa come quattro milioni di euro.

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Sentiamo come si esprime, a proposito di soldi e appalti con alcuni manager di imprese ed esponenti della stessa Sma: «Il polpo si è cotto - dice a un suo contatto - secondo me, invece di 10mila facciamo 20mila (a proposito delle tonnellate da smaltire), ho capito bene che ci sono tre mesi di proroga, che diventano quattro o cinque».

Eccolo uno punti chiave: sempre le stesse aziende, in regime di proroga. E lo spiega con un linguaggio colorito ancora mister 4 milioni di euro: «Quando sono aziende partecipate statali fanno quello che c... vogliono, possono far scegliere all'amministratore, quindi può fare quello che vuole». E non è tutto. Restiamo al narrato delle intercettazioni. È il 2 gennaio del 2018, quando Abbate si rivolge a un geometra alle sue dipendenze: «La movimentazione la facciamo noi... con Furino (imprenditore indagato, ndr) qua dobbiamo darci in faccia, perché l'amministratore va trovando soldi». Immediata la replica del geometra: «Allora gonfiamo malamente». Chiaro il riferimento alle sovrafatturazioni, che produce incassi in nero e che consente di creare riserve per le tangenti. Scrive il gip: «Abbate fa riferimento a un accordo corruttivo con l'ex direttore della Sma Lorenzo Di Domenico e con Errico Foglia (uno dei dirigenti ai domiciliari).

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Agli atti anche lo sfogo di un dipendente, costretto a lavorare con soggetti ritenuti violenti e aggressioni: «Dottore, il 90 per cento, tutti ex detenuti sono là dentro, ti vogliono sparare... non lavora nessuno», riferendosi alle società che entrano nell'affaire bonifiche. Ma a cosa servono queste ditte infarcite di soggetti poco in linea con le esigenze di professionalità richieste. È il punto in cui il gip affronta la possibilità di un tornaconto elettorale: «Ti arrivano i voti. Già, i voti, i voti, e stiamo apposto...».

Uno scenario che ora attende le repliche difensive, nel corso degli interrogatori di garanzia che vengono sostenuti in questo periodo. Difesi, tra gli altri, dagli avvocati Fabio Fulgeri, Leopoldo Perone, Enrico Von Arx, manager e dirigenti proveranno a dimostrare la propria estraneità rispetto all'accusa di aver incassato tangenti in cambio di proroghe di appalti. Caccia ai riscontri, in quello che si preannuncia come l'ultimo atto di accusa a carico di un sistema organizzato per tenere in vita l'emergenza ambientale, grazie a lavori affidati sempre alle stesse aziende. 

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