​Soldi in cambio del posto di lavoro: tre indagati a Napoli

Soldi in cambio del posto di lavoro: tre indagati a Napoli
di Leandro Del Gaudio
Martedì 22 Maggio 2018, 22:59 - Ultimo agg. 23 Maggio, 07:05
3 Minuti di Lettura
Quindicimila euro per avere la certezza di un posto fisso, in forza a un’azienda che poteva contare sul rubinetto dei finanziamenti pubblici. Una valigetta di soldi consegnata in vista di una busta paga, con tanto di contributi versati e la certezza - almeno questa era la prospettiva iniziale - di arrivare a una pensione dopo una onesta carriera di impiegato. Scenario opaco sul quale la Procura di Napoli prova a fare chiarezza, nel corso di un’inchiesta condotta dal pm Ciro Capasso. 

È di questi giorni infatti la decisione di spedire tre avvisi di conclusione delle indagini - l’atto che fa da preludio a una probabile richiesta di rinvio a giudizio - a carico di un ex politico cittadino, del suo braccio destro e dell’amministratore di fatto di una società che si avvale di finanziamenti. Ma andiamo con ordine a partire dalle persone coinvolte nell’inchiesta firmata dal pm Capasso. Ipotesi di truffa, sotto accusa finisce Ivan Ghilardi, ex consigliere della terza municipalità Stella San Carlo all’Arena in quota Pd. A puntare l’indice nei suoi confronti, Giovanni Di Maio, indicato dalla Procura come disoccupato di lungo corso e bisognoso di lavorare. Secondo gli inquirenti, Ghilardi avrebbe vantato «supposte amicizie con imprenditori ed aziende compiacenti», oltre a fare leva sul ruolo della madre, la dirigente della regione (ed ex consigliere regionale Pd) Angela Cortese. Doverosa a questo punto una premessa: la dirigente Cortese non è indagata in questa vicenda, né ha svolto alcun ruolo nella trama di rapporti intercorsi tra il figlio e il disoccupato. Contattata ieri dal Mattino, la dirigente è apparsa meravigliata per la vicenda che ha coinvolto il figlio, oltre a dirsi completamente all’oscuro rispetto alle ipotesi di accusa battute dalla Procura.  
 
Ma torniamo alle accuse sostenute dal pm Capasso. In sintesi, l’offerta su cui indaga la Procura sarebbe stata chiara: 15mila euro in cambio di un’assunzione che veniva data come certa, grazie all’attenzione di alcuni imprenditori, ma anche grazie a un ruolo decisivo all’interno della pubblica amministrazione. In questo scenario, vengono raggiunti da avvisi di garanzia altri due personaggi: si tratta di Ciro Ruocco, ritenuto collaboratore di Ghilardi; e di Felice Colombrino (nato a Pomigliano nel 1962, solo omonimo del prefetto) indicato come «gestore di fatto» dell’azienda nella quale Giovanni De Maio è stato poi assunto. Scrivono gli inquirenti: «De Maio veniva così indotto in errore sulla solidità della ditta Fenar srl, di cui Colombrino all’epoca era gestore di fatto, ma anche a proposito della stabilità del rapporto di lavoro, e lo convincevano ad accettare questa proposta di lavoro presso la suddetta ditta, previa corresponsione della somma di 15mila euro che lo stesso effettivamente versava». Tutto chiaro? Tutto lineare? Difesi, tra gli altri, dall’avvocato Francesco Benetello, gli indagati si dicono convinti della possibilità di ribaltare le accuse nel corso del seguito del procedimento. Fatto sta che una volta iniziato il rapporto di lavoro con la Femar, le cose non sarebbero andate secondo l’auspicio di De Maio. L’impiegato viene infatti licenziato dopo appena qualche mese, quanto basta a far scattare la denuncia e l’inizio di una inchiesta che punta decisamente in alto. 

Chiara la domanda della Procura: a che titolo sono stati versati quei 15mila euro? Ipotesi di truffa, ora si attende la versione dell’ex consigliere che avrebbe speso il nome della madre per garantire una operazione ritenuta sospetta. 
© RIPRODUZIONE RISERVATA