Sprofondo Sud: un milione di cittadini perde la terapia intensiva nel Napoletano

Sprofondo Sud: un milione di cittadini perde la terapia intensiva nel Napoletano
di Francesca Mari
Sabato 11 Settembre 2021, 09:00
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Era un ospedale fantasma prima della pandemia e rischia di ritornare nell'ombra in era post-Covid. Il Sant'Anna e Santa Maria della Neve di Boscotrecase, attuale Covid Hospital di riferimento dell'Asl Napoli 3 Sud - l'azienda che governa l'area più vasta della provincia napoletana, con un bacino di un milione e 200mila persone - chiude la terapia intensiva per mancanza di anestesisti e rianimatori. Accade nell'indifferenza generale proprio adesso, in vista della quarta ondata. Succede dopo poco più di un anno dall'inaugurazione di un reparto di rianimazione realizzato ex novo, con 13 posti letto e macchinari all'avanguardia. Reparto che fu inaugurato in grande stile nel maggio del 2020 dal presidente Vincenzo De Luca e che ora rimarrà inutilizzato. Un vero e proprio spreco, mentre quei posti letto attivi (cioè dotati di specialisti) sono indispensabili e mai sufficienti ovunque, in fase pandemica e non. 

La scelta «obbligata» è toccata al direttore sanitario Savio Marziani dopo l'allarme lanciato dal primario del reparto, Elio Di Caterino, che ha segnalato «mancanza di sicurezza per i pazienti nel reparto di rianimazione nelle attuali condizioni».

La mancanza di sicurezza è determinata dalla carenza di anestesisti utili per le urgenze: in sostanza il numero dei medici da marzo scorso si è dimezzato e, attualmente, c'è un solo anestesista a coprire ogni turno (sebbene il servizio sia garantito 24 ore su 24) a fronte dei due a turno dei mesi scorsi. Questo può causare seri problemi perché se l'unico anestesista di turno deve garantire l'assistenza nel reparto d'intensiva, manca però un altro che possa intervenire tempestivamente in caso di emergenze (attacchi cardiaci e compromissione di parametri vitali) negli altri reparti. Così la scelta sofferta. C'è un solo paziente ora in quella terapia intensiva nuova di zecca (che è arrivata a riempirsi nelle fasi più critiche della pandemia) e che dovrà essere trasferito. Non si sa dove però, perché i posti mancano ovunque, senza considerare che le sue attuai condizioni di salute non consentono spostamenti. 

Prima del Covid il nosocomio, con una capienza potenziale di 300 posti per un bacino di quasi 400mila persone, per anni non è arrivato ad occuparne più di 30. Troppo complicato arrivare fin lì, ai piedi del Vesuvio, per pazienti abituati a ricorrere al pronto soccorso del San Leonardo di Castellammare o del Santa Maria della Pietà di Nola. Troppo poca la fiducia in una struttura per costruire la quale ci sono voluti trent'anni, in un crescendo di veleni e sospetti su presunte assunzioni clientelari, alimentate da qualche drammatico caso di malasanità.

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Intanto, un reparto all'avanguardia di Emodinamica inaugurato con tutti i crismi sei anni fa, ma aperto solo da un anno. Un altro spreco. Poi nel marzo del 2020 l'ospedale è stato riconvertito in Covid Hospital in sole 24 ore da Savio Marziani, allora commissario per l'emergenza, ed ha avuto un'ascesa rappresentando un punto di riferimento per l'ampia area. Nel corso della terza ondata l'ospedale è arrivato ad accogliere fino a 130 pazienti e la terapia intensiva, prima inesistente, è stata costruita ex novo. Già a dicembre del 2020, sempre per mancanza di anestesisti e rianimatori, quei nuovi posti letto da 13 sono scesi a 4: in realtà già dopo l'inaugurazione, sempre per mancanza di anestesisti, se ne erano potuti attivare solo otto. E a dicembre la chiusura è stata scongiurata per miracolo: l'azienda ha reclutato anestesisti da altre Asl e soprattutto dall'ospedale Maresca della vicina Torre del Greco che intanto, da ordinario, era diventato in parte Covid durante l'emergenza. Ma con la riapertura a maggio del Pronto Soccorso del Maresca gli anestesisti «in prestito» sono tornati al proprio posto perché, intanto, la popolazione aveva lamentato la mancanza di un posto dove accorrere rapidamente in caso di emergenza non legata al Covid. Poi, iniziato il calo dei ricoveri, a fine giugno, il Covid Hospital di Boscotrecase è stato nuovamente riconvertito in ordinario e dichiarato free Covid, con accorpamento di reparti e trasferimento di medici. Adesso i pazienti Covid in totale sono 35, di cui uno solo in rianimazione, ma non si sa cosa potrà accadere ora che l'ospedale resterà senza terapia intensiva. 

Tra l'altro, il nosocomio offre diverse specialistiche come Chirurgia Generale e Vascolare, Ortopedia, Nefrologia, Emodinamica e alla fine della pandemia nei piani della dirigenza dovrebbe diventare un polo specialistico. «Come organizzazioni sindacali - dice Michele Maddaloni della Cgil-Ospedali - siamo assolutamente preoccupati per la chiusura della terapia intensiva, sia per la potenziale quarta ondata sia per il futuro ruolo che giocherà l'ospedale, che ricopre un bacino di centinaia di migliaia di persone, dopo la pandemia. È vero che la mancanza di anestesisti è una carenza atavica e adesso, con il Covid, è ancora più evidente. Ma era necessario, già prima, predisporre un piano per il futuro e se non è possibile reclutare questi medici specialisti attraverso i canali ordinari è indispensabile che li si arruoli anche attraverso altre modalità. Penso alla protezione civile, ai liberi professionisti o comunque ad un reclutamento a tappeto senza perdere tempo. Non bisogna avere la memoria corta, quello che è successo durante le prime ondate è nella memoria di tutti. Non bisogna impigliarsi nei lacci e lacciuoli della burocrazia. La chiusura della rianimazione - conclude Maddaloni - è un danno indicibile per l'ospedale di Boscotrecase e per tutto il territorio». 

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