Sud, la grande fuga dei giovani: in 10 anni emigrati 200mila laureati

Sud, la grande fuga dei giovani: in 10 anni emigrati 200mila laureati
di Nando Santonastaso
Sabato 9 Dicembre 2017, 22:58 - Ultimo agg. 11 Dicembre, 00:10
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Se ne vanno per sfiducia, perché non trovano un lavoro adeguato alle loro capacità e ai titoli di studio, laurea in testa. Fuggono perché sanno che altrove ci sono più opportunità, possibilità di guadagno, qualità di vita, visione. C’era una volta il tempo in cui la fuga dei cervelli dal Mezzogiorno al Nord o all’estero non faceva quasi notizia: erano pochi, intanto, e poi venivano additati a esempio per i loro coetanei, ragazzi cioè capaci di affermarsi lontano da casa perché ne avevano tutto il diritto e le competenze. Oggi l’eccezione è diventata la regola. Perché se resta a dir poco fisiologico che un consistente numero di under 30 decida di fare un’esperienza formativa oltre confine o in aree del Paese dove la ricerca, il rispetto della meritocrazia e la qualità della vita sono migliori, non lo è il rovescio della medaglia. E cioè che il trend aumenti senza che ci sia una quantità altrettanto massiccia di ragazzi, soprattutto stranieri, che scelgono di studiare, laurearsi e trovare un’occupazione stabile al Sud.

Lo squilibrio è evidente: dietro i 200mila laureati che hanno abbandonato il Mezzogiorno negli ultimi dieci-quindici anni, secondo quanto documentato dalla Svimez nell’ultimo Rapporto, c’è il vuoto, non ci sono cioè altrettanti cervelli in grado di riempire gli spazi e di garantire al rapporto formazione-impresa-lavoro opportunità competitive. Il turn over e l’ascensore sociale che non ci sono più sembrano diventati una patologia, creando i presupposti per una desertificazione culturale e comunque demografica del Meridione che alcuni dati lasciano peraltro già intravedere: le nascite sono da due anni consecutivi inferiori alle morti.

Basterebbe questo angosciante ragionamento a spiegare il senso della giornata organizzata per domani, lunedì 11 dicembre, dal Mattino al Teatro Nazionale Mercadante sul tema “Avere 20 anni al Sud: le ragioni per restare e per tornare”. Di fronte all’ampiezza di quella che ormai è una vera e propria tendenza, il più diffuso quotidiano del Mezzogiorno non poteva limitarsi a lanciare un grido di allarme. Bisognava allargare la conoscenza del fenomeno, comprenderne le ragioni più evidenti e quelle ancora nascoste, chiamare insomma tutti gli stakeholders, dal governo alle istituzioni locali, dalla politica all’impresa, dall’economia ai nuovi saperi, dall’università ai liberi pensatori, ad una forte assunzione di responsabilità.

E saranno proprio loro, i giovani, il banco di prova più immediato e credibile di questa pagina meridionale interamente dedicata a loro: sul palco, attraverso testimonianze in video o “in diretta”, interagiranno durante tutta la giornata con i relatori i partecipanti alle tre tavole rotonde previste dal programma. Un dialogo, insomma, tutt’altro che a distanza, come troppo spesso continua ad accadere, e non più tra sordi o mondi che non riescono a capirsi e dunque a parlarsi. Il Mattino proverà a ridurre questa distanza che rischia di allargarsi a dismisura in tempi nemmeno lunghissimi. Se sono vere – e molti esperti lo dicono – le previsioni sulla desertificazione demografica del Sud, entro il 2050 saranno andati via 5 milioni di abitanti e quest’area del Paese che pure rimane l’unica vera opportunità per lo sviluppo italiano sarà sempre più periferica, marginale, inutile.
 

Che in giro ci sia qualcuno che in fondo lo spera, non è un mistero. I segnali arrivati da certi settori dell’imprenditoria settentrionale a proposito della futura assegnazione dei fondi strutturali europei e la stessa tentazione, sottintesa al referendum lombardo-veneto, di rilanciare le “piccole patrie” a dispetto dell’unità nazionale, sono fin troppo evidenti per poterli annoverare tra le boutade di stagione. No, la tentazione di liberarsi del Mezzogiorno non è scomparsa come dimostra indirettamente anche il fallimento del federalismo fiscale che avrebbe costretto anche i fautori dell’indipendenza economica del Nord a ragionare attraverso l’ormai scomparsa “perequazione” in termini di equità e sostenibilità fiscale del Sud. Ma oggi sono i giovani con la valigia e quelli che stanno seriamente pensando di farla, a irrompere sulla scena. Centinaia e centinaia di statistiche documentano ormai da tempo le ragioni del disagio, di quella che l’ex rettore dell’Università di Palermo definì “la nuova emigrazione meridionale”. Un dato, solo uno per riflettere: sono attualmente almeno 150mila gli studenti pugliesi, calabresi e campani iscritti a istituti o atenei diversi da quelli delle loro aree di provenienza, che si spostano durante gli studi, che pensano all’Erasmus non solo come un’esperienza ma come una dimensione di vita futura. Non c’è ormai una famiglia nella quale questo tema non sia entrato prepotentemente.

E il fatto stesso che sia nato un blog (ce ne occupiamo in questa stessa pagina) di mamme che si organizzano per essere il più possibile vicine ai loro figli emigrati all’estero, lo dimostra. 
La posta in palio, dunque, è troppo importante per poter rinunciare con rassegnazione a individuare, discutere, approfondire le possibili soluzioni al problema. E’ forse lo scenario più delicato ma anche più stimolante dell’iniziativa: il “che fare?” acquista il valore di una prova, non solo di un annuncio. E forse mai come stavolta le possibilità di andare oltre l’analisi e il racconto ci sono. Perché sarà possibile capire, ad esempio, perché al miglioramento dell’economia anche al Sud non corrisponda ancora un poderoso incremento di occupazione tra i giovani. Perché il sistema universitario, che nella sola Campania può contare su ben sette atenei, non riesca ancora ad essere attrattivo sul piano internazionale.

Ma le domande sono e saranno infinite, nella consapevolezza peraltro, che è difficile negare agli ultimi governi di avere rimesso in qualche modo il Mezzogiorno al centro dell’agenda politica del Paese con misure e provvedimenti importanti (dal supercredito d’imposta al piano “Resto al Sud” per incentivare l’imprenditorialità giovanile). E non si può nemmeno sostenere che le misure adottate “in scia” dal governo regionale, tra contratti di sviluppo e sostegno all’occupazione specie dei ”neet” siano state inutili o trascurabili. Ma è un dato di fatto altrettanto chiaro che la strada è appena all’inizio mentre quella che è stata costretta a imboccare una generazione di 30enni sembra già quasi arrivata al capolinea della speranza, nonostante l’incredibile paradosso di una dotazione di risorse finanziarie (100 miliardi di euro fino al 2020 tra fondi europei e nazionali) sconosciuta al passato.

Ripartire, dunque, è difficile ma non impossibile come emerge dai contributi degli esperti che hanno impreziosito l’inserto speciale dedicato dal Mattino alla giornata di domani e che i lettori troveranno sempre domani insieme al quotidiano.

Dalle loro testimonianze vengono fuori idee, proposte e suggerimenti per fermare l’emorragia e ricostruire il rapporto tra giovani e territorio. Dalla fuga al ritorno, per chi se n’è andato; dall’impegno alla resilienza per chi non lo ha fatto ancora e aspetta un segnale, finalmente vero, per non pensarci più.

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