Suicida a Napoli istigata dal compagno: «Condannato e libero, giustizia per Arianna»

Suicida a Napoli istigata dal compagno: «Condannato e libero, giustizia per Arianna»
di Leandro Del Gaudio
Sabato 19 Dicembre 2020, 12:00 - Ultimo agg. 16:49
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Si dice attonita, sgomenta di fronte alla notizia della scarcerazione dell'ex convivente della sorella, anche se resta animata dalla fiducia che ha sempre provato nei confronti della giustizia. E in cuor suo nutre una speranza: che il sorriso di sua sorella - parliamo di Arianna Flagiello, morta suicida nel 2015 - possa diventare un punto di riferimento per tutte le donne determinate a cambiare vita, a troncare con relazioni difficili. Valentina Flagiello, grafologa giudiziaria, racconta a Il Mattino le sensazioni provate dopo aver appreso la notizia della scarcerazione di Mario Perrotta, l'ex convivente di Arianna, condannato in primo grado a 22 anni per «morte come conseguenza di maltrattamento». Ricordate il caso? Era il 19 agosto del 2015, Arianna (33enne dipendente di una casa editrice) si lanciò dal balcone della propria abitazione dopo l'ennesima lite con il compagno. Una vicenda su cui occorre fare chiarezza: la scarcerazione di Perrotta, dopo sette mesi in cella, è stata disposta giovedì notte dal Riesame (che ha accolto le istanze degli avvocati Vanni Cerino e Sergio Pisani), non ravvisando il pericolo di fuga (Perrotta ha assistito a tutte le udienze ed ha assunto sempre un contegno corretto in aula); mentre sotto il profilo della sua responsabilità nei confronti della morte di Arianna, è in attesa del processo di appello, quando proverà a far valere le proprie ragioni, a ribaltare la condanna in primo grado (va pertanto considerato non colpevole fino a prova contraria). Ma torniamo a Valentina, al feedback provato dopo la scarcerazione di Perrotta. 

Condannato a 22 anni in primo grado, libero dopo soli sette mesi. Cosa ha provato?
«Da un punto di vista tecnico, preferisco che si esprimano i miei legali, gli avvocati Marco Imbimbo e il professor Pasquale Coppola, mentre da un punto di vista emotivo, posso solo confermare che non provo piacere ad incontrarlo per strada.

Mi dispiace solo che qualcuno, in modo semplicistico, possa pensare che la situazione si sia ribaltata. O che si siano ribaltati all'improvviso i punti fermi acquisiti durante il processo di primo grado. Credo invece che sia questo il momento di avere fiducia nella giustizia. Vede, ho un unico obiettivo: difendere la dignità di mia sorella. Andare fino in fondo a questa storia e fare in modo che il suo sacrificio a qualche cosa possa servire».

A cosa fa riferimento?
«Credo nella giustizia. Ho assistito a decine di udienze, ho visto come si svolge il lavoro dentro e fuori il Tribunale e sono convinta che l'accertamento dei fatti debba andare fino in fondo».

Perché è convinta che la vicenda di sua sorella possa diventare emblematica o addirittura utile per le donne o per chiunque avverta una condizione di soggezione?
«Partiamo da un dato di fatto: nessuno mi restituirà mia sorella. Mi hanno tolto il bene più prezioso, nessuna sentenza potrà mai restituirmi ciò che abbiamo perso. Ma sono convinta di una cosa: la sua storia non deve cadere nel dimenticatoio, ci deve essere attenzione sul suo caso, perché potrebbe diventare l'icona di chi - non essendo felice della propria condizione in una relazione di coppia - decide di affrancarsi».

Su cosa fa leva questa sua considerazione?
«Le parlo di una sensazione personale, a cui non ho mai fatto cenno. In quell'estate del 2015, Arianna mi sembrava motivata a chiudere la propria relazione con il suo convivente. Chiese a nostra madre di non allontanarsi da Napoli per le vacanze, evidentemente temendo una reazione da parte di Perrotta. Stava mettendo la parola fine a questa storia, aveva maturato la convinzione di potercela fare. È in questa dinamica interiore che Arianna può diventare esempio per altre donne, per quante avvertono nel loro intimo la necessità di voltare pagina. Mi auguro che il sorriso di Arianna possa illuminare le loro scelte».

Arianna si è suicidata, al termine dell'ennesimo litigio iniziato a casa di sua madre, continuato per le scale dello stesso edificio, fino a raggiungere l'appartamento ai piani alti, dal quale ha deciso di lanciarsi nel vuoto. Che immagini ha di quella mattinata di agosto?
«Mia sorella era una donna curata, quel giorno non aveva deciso di togliersi la vita. Ciò che è avvenuto è conseguenza di quel litigio o di un rapporto che è stato messo a fuoco nel corso del dibattimento. Spetta ai giudici di appello ragionare sulle carte del processo e sulle eventuali responsabilità dell'imputato, anche se io conservo la mia convinzione: quell'estate aveva maturato la volontà di uscire da quel rapporto di convivenza, di ritrovare se stessa lontano da quell'uomo».

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