Suicidio sospetto a Chiaia: la mamma fa riaprire le indagini

Suicidio sospetto a Chiaia: la mamma fa riaprire le indagini
di Chiara Graziani
Venerdì 2 Febbraio 2018, 22:57 - Ultimo agg. 3 Febbraio, 14:38
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Un figlio fragile e da proteggere. Dina Ramicone non l’aveva visto, steso sul selciato di via Piscicelli a Chiaia la notte fra il 4 ed il 5 agosto, quel figlio delicato, introverso che popolava le pareti di casa di ritratti femminili dai grandi occhi e di enigmatici puzzle geometrici.

«Quella notte nessuno ebbe il coraggio di dirmi: è volato di sotto, non c’è più. Intuii la mattina dopo, all’ennesima carezza silenziosa. Mi dissero la parola, alla fine: suicidio». Dina Ramicone lo racconta in un salone ovattato da tendaggi che parla di una famiglia agiata, protetta, parte della città di sopra dove si può vivere senza affacciarsi su quella di sotto. Un mondo apparentemente destinato alla felicità, senza problemi. Almeno visto da sotto. Da sopra può essere un inferno. E Dina Ramicone ora lo sa.
 

Riccardo Bochicchio, 47 anni, figlio e nipote di influenti magistrati napoletani, è volato giù dal finestrone di un pianerottolo al primo piano del palazzetto dove viveva solo a pochi metri dalla madre, pochi metri che però a Chiaia segnano un confine. Era in short. A piedi nudi. Un volo breve ma non goffo che l’ha proiettato - lui alto un metro e 85, cento chili di peso - quasi sull’altro lato della strada, travolgendo una passante e segnando così l’ora esatta del decesso: le 23, 35. «È caduto da un’altezza ridicola - dice sua madre oggi - ma il 118 l’ha trovato morto. E devastato da segni e ferite». Il referto del 118 che la madre ti mostra dice: «Probabile defenestramento».

A guardare su per la breve facciata bianca, davvero, quei pochi metri da terra sembrano sproporzionati alle condizioni in cui parrebbe quel povero corpo su fotocopie scure di foto originali. Quattro segni circolari sul ventre, ferite, tanto sangue rappreso controverso. E segni, come tagli, su collo e nuca. Le braccia come tumefatte nella parte interna. Riccardo il sognatore estremo, grafico laureato, un disturbo bipolare gestito e gestibile, solo alle 23, 12 era ancora un uomo al telefono che cercava una piccola tregua alla schermaglia con la sua ragazza. «Ci vediamo?» chiedeva a Flora M. «Stai arrivando? Riprendiamo da dove eravamo rimasti». E lei te lo racconta - l’ha raccontato anche al pm due volte: «Gli dissi, vengo. Ma sapevo che non sarei andata, per ripicca. Un dispettuccio perchè aveva mandato a monte il nostro programma ad Ischia e lo stavo un pochino punendo. Ora mi dispiace tanto». Schermaglie al telefono alle 23, 12 (come da tabulato). Un minuto e trentacinque in cui lui pagava il pegno di essere il primo a richiamare. Venti minuti dopo, però, era tutto finito in dramma. Con un breve volo da un pianerottolo, almeno questo si è dedotto da un paio di ciabattine abbandonate a pochi passi dall’ingresso di casa. Riccardo che aspettava tenerezza, aveva incontrato la morte fra le 23, 12 e le 23, 35.

La mamma aveva accettato che fosse andata come le avevano detto: per quel maledetto disturbo bipolare, assente dal posto il pubblico ministero, il corpo era stato rimosso in fretta e furia dai basolati insanguinati. Suicidio. Ma chi l’aveva visto subito aveva scritto «probabile defenestramento». Il cadavere di Riccardo non potrà più parlare ad un medico legale. Per fare in fretta a chiudere le ferite, il padre Roberto, magistrato, le propose la cremazione. «Dissi subito sì - ricorda Dina - non sopportavo di lasciarlo in un cimitero. Ora mi tormento, ci tormentiamo, perchè una riesumazione è impossibile. Spero solo, ora, in due cose. La solidarietà della città, che potrebbe aver visto tanto: via Piscelli alla Torretta è un palcoscenico, chi sa ci aiuti. La seconda è una perizia sulle foto originali della Scientifica».

La riesumazione avrebbe potuto sciogliere tanti dubbi. Il procuratore aggiunto Rosa Volpe, con il sostituto Raffaele Tufano, indaga contro ignoti per istigazione al suicidio. Ma la mancanza del cadavere è un macigno. Il procuratore capo Giovanni Melillo - che ha firmato una circolare affinchè non manchi più per nessun motivo la presenza fisica sul posto del sostituto di turno - ha chiesto di indagare ancora. Ed il 10 gennaio, cinque mesi dopo, su richiesta dell’avvocato Gennaro De Falco che rappresenta Dina Ramicone, c’è stato un sopralluogo che ha spostato l’attenzione degli inquirenti dal famoso pianerottolo al terrazzino di Riccardo ed al lastrico solare confinante. De Falco lo suggeriva da mesi: «Riccardo aveva polvere bianca sotto la pianta dei piedi, compatibile con il terrazzo. È sul terrazzo che bisogna guardare». È venuto fuori che si tratta di luogo facilmente accessibile dai tetti. È stato anche sparso il Luminol lungo il parapetto. La procura, che in primo momento aveva chiesto l’archiviazione, ha ripreso un’inchiesta ormai in salita.
 

Per dire quale spettro stia torturando Dina occorre intrecciare le voci delle due donne vicine a Riccardo. Parla ancora Flora: «Eravamo stati insieme la sera prima, fino alle tre del mattino. Arrivando a casa sua da piazzetta Ascensione, verso le 23, finii nell’imboscata di uno sciame di ragazzini in motorino. Gridavano, facevano impennare il motorino. Mi vennero addosso da due direzioni diverse, uno allungò la mano verso lo zainetto. Mi infilai in un portone. Riccardo andò su tutte le furie. Disse che sempre questo succedeva, tutte le sere». Parla Dina: «E se l’avessero preso di mira, se lui avesse scambiato parole o sguardi con chi pensava potesse aggredire di nuovo Flora? Chi ha visto anche una minima cosa ci aiuti ad uscire da questo buio». L’avvocato De Falco è convinto che tante cose vadano chiarite, tanti personaggi individuati e collocati al loro posto prima di lasciare Riccardo in pace, nell’urna domestica nella sua stanza da ragazzo nella città di sopra dove era cresciuto. Ad un passo da quella di sotto che l’ha inghiottito.
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