Talarico e l’ombrello di Eduardo protagonista in casa Cupiello

Talarico e l’ombrello di Eduardo protagonista in casa Cupiello
di Pietro Treccagnoli
Mercoledì 20 Gennaio 2016, 23:47 - Ultimo agg. 22 Gennaio, 13:06
6 Minuti di Lettura
Napoli è sempre stata capitale di commerci. Nella bottega, piccola o grande, a volte uno stretto terraneo, altre una foresteria riadattata, passa il mondo, aristocratico e popolare di una città nata già metropoli, ma rimasta sempre paese, con la sua clientela affezionata, con le sue abilità artigianali, la cura maniacale per il dettaglio e per la perfezione che incide il segno inconfondibile, sia un bastone, un cioccolatino, un liuto, un formaggio o un gioiello. La storia del commercio è un bene comune, definizione che tanto piace (e in questo caso a ragione) all’attuale amministrazione tanto che ha appena iscritto le prime aziende nei neonati albi comunali delle botteghe storiche di Napoli e in quello delle ultracentenarie.

Si tratta di dodici tappe per tredici esercizi (perché la cioccolateria Gallucci di via Cisterna dell’Olio s’è guadagnata l’iscrizione in entrambi gli albi). Visitarle è ripercorrere storie e personaggi della grande creatività napoletana che da soli riempirebbero (e in parte hanno riempito) tomi e tomi e, ora, siti e siti (e i siti pure ci sono). Raccontano di Eduardo De Filippo e Luigi Settembrini, di Pino Daniele e Philippe Leroy, ciascuno con la propria passione, fosse una chitarra, un ombrello, una delizia per il palato, dolce o salata.

Gli albi voluti da Palazzo San Giacomo sono nati per tutelare, promuovere e valorizzare questi angoli senza tempo dell’impresa made in Naples e della nostra vita quotidiana. L’elenco è ancora in progress e, dopo attente ricostruzioni documentarie, vi saranno inserite le aziende che ne avranno fatto richiesta e l’avranno meritato.

Le botteghe storiche sono nove: le due pizzerie Gorizia al Vomero, il ristorante La Bersagliera al Borgo Marinari, il calzaturificio Campanile, l’abbigliamento Tarallo, la Maison Donadio (tutte a Toledo), la Casa della Penna e la gioielleria Sorrentina (al Rettifilo) e la fabbrica di cioccolato Gallucci a Cisterna dell’Olio. Quattro, invece, le ultrecentenarie: ancora Gallucci, l’Antica Salumeria Pane a via Settembrini, poco lontano da Porta San Gennaro, Talarico Ombrelli (a vico due Porte a Toledo) e Loveri di via San Sebastiano, punto di riferimento per generazioni di musicisti famosi o solo dilettanti.

Piccole imprese familiari, per lo più, passate di mano di padre in figlio, lungo le generazioni, talvolta nate sotto la dinastia dei Borbone, ma registrate solo dopo l’Unità d’Italia. Lavoro e passione insieme, trasmessi con l’esempio e la costanza. Fatica quasi sempre ben ripagata, altrimenti si cambiava mestiere e ragione sociale, non si resisteva sul mercato. Loro hanno resistito, decenni dopo decenni. Hanno affrontato crisi e guerre e ora sono alle prese con le insidie del mercato globalizzato. Val la pena di rendere onore a tutt’e quattro, cominciando dalla ditta più antica. Gli ultracentenari più ultracentenari sono i Talarico, dell’omonimo ombrellificio.

Sono registrati dal 1860, li trovate appena da Toledo imboccate i Quartieri Spagnoli, all’altezza del vico Due Porte. È un terraneo di appena 24 metri quadri, pieno zeppo di ombrelli come se fossimo a Londra o a Bruxelles. Ombrelli, ma pure bastoni, di tutte le fogge e dai colori magnifici: farfalle e aquiloni trattenuti a terra dall’eleganza del legno. A portare avanti l’impresa familiare ci sono due Mario, zio e nipote, senior e junior. Lo zio ha 84 anni. «Ho cominciato a 11 anni» ricorda con orgoglio «e quanti clienti ho visto passare, manco me li ricordo».

A restituirgli la memoria sono le foto incorniciate che sottraggono un po’ di spazio all’esposizione dell’inimitabile merce. Sfilano ambasciatori, autorità e una quantità di attori: Paolo Villaggio, Vincenzo Salemme, Toni Servillo, Christian De Sica e Luca De Filippo. «Luca è passato da noi una settimana prima che finisse» racconta Mario senjor. «Era venuto a comprare dei bastoni, ma mi ha anche ordinato un ombrello particolare». E qui la storia della bottega si intreccia con una delle commedie più celebri di Eduardo: «Natale in casa Cupiello».

Ricorderete la scena dei regali, quando Lucariello regala alla moglie l’ombrello? Indimenticabile: «Tu scendi dalle stelle, Concetta bella, e io t’aggio purtato quest’ombrella». Eduardo, come spesso capitava, improvvisò la battuta successiva che faceva riferimento a un amico suo che aveva realizzato il regalo per lui. Ebbene, l’ombrello era uscito dalle mani di Giovanni Talarico, della già celebre ditta che a suo tempo (quando stava a via Trinità degli Spagnoli) serviva casa reale.

L’ombrello che Giovanni gli regalò Eduardo se lo tenne e lo usava per tutti i «Natale». «Luca, quando è stato qua da noi» riprende a raccontare Mario senior «mi aveva confessato di voler rimettere in scena il Natale di Cupiello, ma non trovava più l’ombrello di Eduardo. Così me ne ha ordinato un altro simile. Avevo cominciato a lavorarci». E tira fuori una lunga stecca di legno, con un manico nero, semplice e lezioso molto femminile. «Non l’ho più finito».

In questo microscopico mondo magico, quasi nascosto, spicca l’antico tavolino di lavoro dei Talarico, risale al 1811, è fatto di legno ed esibisce con orgoglio il passaggio sotto mani esperte dedicate alla protezione dell’uomo dalla pioggia. Tutt’attorno manici, pomi, viti, tasselli, fibbie e legno, tanto legno. «Usiamo ciliegio, bambù, olmo, corniolo, frassino, nocciolo, castagno» aggiunge Mario junior «ma anche limone di Sorrento, ginestra del Vesuvio, canna di Malacca». Nomi che evocano profumi più che giornate uggiose. Leopardi, Tasso e Salgari.

Poesia ed esotismo, insieme. «I nostri ombrelli sono finiti persino a casa Putin» sussurra un po’ misterioso Mario senior. Come? «Capitelo da soli. Ma il cliente più strano è un ricco signore inglese». Tira fuori da un cassetto una foto di un dandy rubizzo, in abito bianco, fieramente accanto a un auto gigantesca. «Possiede ventitré Roll Royce, ognuna di un colore diverso e per ognuna mi ha ordinato un ombrello intonato». Un pezzo prezioso della collezione Talarico è finito in regalo anche sulla testa di papa Ratzinger. «Tra i nostri mercati più fiorenti c’è proprio l’Inghilterra» aggiunge orgoglioso Mario junior. Certo scalzare da Napoli proprio gli inglesi è una bella soddisfazione.

La genealogia dei Signori degli Ombrelli è lunga è si perde nel tempo. Tutto comincia con Giovanni Bongiovanni, già del mestiere, la cui figlia Emilia sposa Achille Talarico e dà il nome alla ditta che prosegue con il figlio Giovanni, poi Mario senior e quindi Mario junior che sembrano completarsi come due pezzi di matrioska. Sono abituati a una clientela competente, amante dell’oggetto unico, rifinito da mani esperte. E chi ne capisce viene a cercare qua. «Lavoriamo molto con gli attori» chiarisce sempre Mario junior «perché riforniamo pure i teatri e le compagnie».

Un’occhiata anche distratta a tutta l’esposizione ha qualcosa di magico, tra seta e stecche, si resta incantati dal legno che giace anche ancora vergine.
Sono pezzi da rendere vivi come dei Pinocchio modellati dalle mani di un Alberto Giacometti in vena di scherzi. Nodi che scompariranno o che, aggraziati, diventeranno il dettaglio inconfondibile, il marchio, più ancora della griffe. Su un tablet, che si fa largo sul bancone ingombro, scorrono, a loop, le immagini di servizi televisivi dedicati ai prodotti Talarico. «Questo è coreano» spiega lo zio. «Anche l’Oriente ci dà soddisfazioni». E certe abilità artigianali, quelle che fanno la differenza, le tigri asiatiche non riescono a importarle. L’esperienza può dare i propri frutti, ma solo il talento può salvare dal diluvio, piova o ci sia il sole.
© RIPRODUZIONE RISERVATA