Tempo pieno, in Campania
mancano duemila insegnanti

Tempo pieno, in Campania mancano duemila insegnanti
di Marco Esposito
Giovedì 22 Febbraio 2018, 10:53
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Perché il tempo pieno nelle scuole elementari al Sud non decolla? La domanda è semplice, la risposta un po' meno. C'è una tesi ufficiale, depositata in Parlamento il 9 novembre 2017 a firma del sottosegretario Vito De Filippo, sollecitato da Maria Marzana, deputata siciliana dei Cinquestelle. De Filippo tre mesi fa ha assicurato che «è costante l'impegno di questa amministrazione per poter corrispondere alle esigenze delle famiglie e garantire a tutte analoghe opportunità» e ha citato un trend di aumento delle classi che offrono in tempo pieno. Ma la distanza è ancora enorme, con il 50% di Piemonte, Lazio e Lombardia da un lato e il 14-15% di Puglia e Campania dall'altro con la Sicilia al 7%. In pratica è come se al Sud le scuole elementari durassero un anno in meno.

Un primo dato dal quale partire è che nel Mezzogiorno il tempo pieno è storicamente poco richiesto: erano di meno le famiglie che gradivano lasciare i bambini a scuola alle 8 e andarli a prendere alle 16. E, in passato come oggi, sono di meno i genitori entrambi lavoratori che sono obbligati a tale opzione per far conciliare famiglia e lavoro. Tuttavia il trend di crescita è innegabile è c'è il sospetto che le scuole facciano fatica ad andare incontro alle richieste. Annamaria Palmieri, assessore all'Istruzione a Napoli, ha il quadro di tutte le richieste delle scuole di tempo pieno perché al suo assessorato tocca far partire il servizio di mensa (operazione che a Napoli ha conosciuto spesso intoppi). «In sette anni non ho mai negato un nulla osta. Ma so per certo che diverse scuole che nel 2017 ne avevano fatto richiesta non sono riuscite a partire perché non hanno ottenuto un rafforzamento dell'organico. Mi dispiace soprattutto per le primarie che operano in aree come Soccavo, il Rione Traiano, Miano, i Quartieri Spagnoli dove si potrebbero realizzare progetti specifici e duraturi per quei quartieri».

Il rafforzamento dell'organico di cui parla la Palmieri, però, non è previsto dalle norme. Il riparto dei docenti tra le varie regioni non tiene conto del tempo pieno, il quale deve sempre essere effettuato «nei limiti della dotazione organica complessiva autorizzata nell'ambito dell'organico dell'autonomia», come ha sottolineato De Filippo. E Luisa Franzese, responsabile dell'Ufficio scolastico regionale della Campania, conferma: «L'organico dipende dagli alunni, che peraltro in Campania sono in calo, quindi non posso autorizzare incrementi di organico. Ogni istituto deve organizzarsi, per esempio facendo ricorso al cosiddetto potenziamento».

Sembra quindi che - a parità di alunni iscritti alle scuole statali - il Miur assegni agli Uffici regionali un identico numero di docenti, tra insegnanti di ruolo e potenziamento, per cui il fatto che ci siano più classi a tempo pieno nel Centronord rispetto al Mezzogiorno è legato a una diversa capacità organizzativa, oltre che alle esigenze delle famiglie.

Ma è davvero così? De Filippo nella sua risposta spiega che «il riparto della dotazione organica tra le regioni è effettuato sulla base del numero delle classi, per i posti comuni, e sulla base del numero degli alunni, per i posti del potenziamento, e di ulteriori parametri di complessità e territorialità».

Il diavolo, si sa, si nasconde nei dettagli. E, allora, quali sono questi «ulteriori parametri»? Il primo è legato ai portatori di handicap, i quali però sono distribuiti in modo omogeneo sul territorio. Il secondo per importanza è quello degli «alunni di cittadinanza non italiana». E qui la differenza è fortissima in favore del Centronord, dove è iscritto l'88% degli alunni stranieri della scuola primaria. Ci sono poi parametri di peso minore che tengono conto della densità demografica, della presenza di aree montane e in ultimo - come se fosse la cosa meno importante - «delle condizioni socio-economiche e di disagio sociale delle diverse realtà territoriali».

 

La domanda si pone: uno studente senza cittadinanza è paragonabile a un portatore di handicap? Il Miur - oltre ad assegnare insegnanti di sostegno per questa specifica tipologia di alunni (docenti ovviamente non conteggiati negli organici riportati nelle tabelle) - ha definito dei tetti alla numerosità delle classi in caso di presenza di portatori di handicap. Invece non è stata data alcuna indicazione simile per gli studenti stranieri, i quali se non altro andrebbero divisi tra nati in Italia (e quindi con una adeguata conoscenza della lingua) oppure arrivati da poco. Fatto sta che la formuletta che pesa «gli alunni di cittadinanza non italiana» consente di gonfiare di migliaia di unità la dotazione organica dei docenti al Centronord, dove quindi diventa più facile continuare a organizzare la scuola con una ricca offerta di tempo pieno nonostante le contrazioni di organico introdotte dalla riforma Gelmini. In particolare in Lazio e in Lombardia c'è un docente ogni 11,6-11,8 alunni mentre in Campania e Puglia c'è un docente ogni 12,8-13 alunni. In Sicilia un docente ogni 12,7 alunni. Una differenza pari al 10% della dotazione organica.
Tirando le somme, per responsabilità di tale formuletta - che considera gli iscritti stranieri quasi dei portatori di handicap - la Campania si trova circa 2mila docenti in meno, alla Puglia ne mancano 1.400 e alla Sicilia 1.800.
Altre regioni del Sud - Molise, Basilicata, Calabria, Sardegna - hanno invece dotazioni organiche superiori alla media nazionale di 11,9 ma ciò è dovuto alle caratteristiche demografiche, con molti piccoli comuni sparsi, dove magari è indispensabile garantire un servizio scolastico anche con classi poco numerose. Una situazione simile si verifica in Piemonte, che ha un territorio più esteso della Lombardia ma in larga parte a bassa densità di popolazione al punto che gli iscritti alle elementari sono appena 190mila contro i 475mila lombardi e i 300mila campani.
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