Terra dei Fuochi, così i veleni
«uccidono» la fertilità maschile

Terra dei Fuochi, così i veleni «uccidono» la fertilità maschile
di Mario Pappagallo
Sabato 23 Dicembre 2017, 14:34
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I giovani nati e cresciuti nella Terra dei Fuochi o vicino all'Ilva di Taranto potrebbero avere danni al Dna da risultare poi o sterili o a fertilità compromessa. L'inquinamento potrebbe incidere in modo irreversibile sulla sfera riproduttiva maschile, in Italia e nei Paesi occidentali o comunque laddove si nasce e si cresce circondati da tossici ambientali. Il liquido seminale sembra, infatti, essere il primo a restare danneggiato nella sua produzione e maturazione biologica dai «veleni» di aria, acqua e suolo. Gli studi nelle aree della Terra dei Fuochi in Campania e dell'Ilva di Taranto danno un risultato inequivocabile: cala la qualità del liquido seminale, alterato il 35% del Dna spermatico. E quando la Natura individua le alterazioni attiva un «bottone rosso» per impedire la riproduzione del Dna «malato». Quindi induce sterilità.

Agli esordi dell'umanità era più facile che fossero le donne la causa principale di un'infertilità di coppia, oggi nell'era dell'inquinamento sta sempre più diventando problema maschile. A causa di spermatozoi «spenti» o del tutto «disattivati». Gli specialisti della Società Italiana di Riproduzione Umana (Siru) dal loro primo congresso nazionale tenutosi a Roma lanciano un allarme riguardo la sopravvivenza della specie umana nei Paesi occidentali (ma il problema riguarda anche molte metropoli orientali) e in particolare nelle zone ad altro rischio ambientale. Un'affermazione estrema supportata da studi recenti che dimostrano che la percentuale di milioni di spermatozoi per millilitro si sarebbe dimezzata negli ultimi 40 anni nei paesi occidentali (-59,3% nel numero netto di spermatozoi) e che in generale circa il 35% dei casi di infertilità ha una causa maschile. Un team di ricerca della Hebrew University di Gerusalemme ha dimostrato che tra il 1973 e il 2011 c'è stato un crollo spaventoso nella fertilità maschile, innescato da una netta riduzione nel numero e nella «qualità» degli spermatozoi presenti nel liquido seminale. I dati ricavati dai ricercatori, coordinati dall'epidemiologo Hagai Levine, sono: -52,4% nella concentrazione dello sperma e -59,3% nel numero netto di spermatozoi per gli uomini occidentali provenienti da America del Nord, Europa, Australia e Nuova Zelanda. In altri termini, la concentrazione media degli spermatozoi in 40 anni è passata da 99 milioni per millilitro a 47 milioni per millilitro.

Ma attenzione: sono dati e percentuali nella media, senza tenere conto dell'ambiente. Ecco che andando a valutare gli stessi dati in eco-sistemi «malati» si riscontrano percentuali impazzite verso l'alto. Perché? Innanzitutto, per le sostanze chimiche presenti nell'ambiente, come metalli pesanti, diossine e negli alimenti come agrofarmaci o insetticidi. Ma anche a causa di scorretti stili di vita e dell'inquinamento elettromagnetico.

«Il sistema riproduttivo è particolarmente vulnerabile alle interferenze dell'ambiente e il liquido seminale maschile sembra rappresentare lo specchio più fedele di quanto l'ambiente e lo stile di vita impattino sulla salute riproduttiva oltre che globale dell'individuo», dice Luigi Montano, uno dei tre presidenti Siru, uro-andrologo dell'Asl di Salerno. Lui ha ideato e coordinato il progetto EcoFoodFertility. Progetto interdisciplinare e multicentrico di biomonitoraggio umano, nato dall'esigenza di valutare eventuali danni sulla salute umana derivati dal vivere in un ambiente ad alta tossicità, non naturale ma criminalmente indotta come la «Terra dei Fuochi», e che ha analizzato campioni omogenei per età, Bmi (indice di massa corporea) e stili di vita di maschi sani residenti in aree a diversa pressione inquinante. Progetto che si sta allargando in altre aree critiche d'Italia e d'Europa e che utilizza il liquido seminale come chiave di lettura del rapporto AmbienteSalute, nella sua duplice funzione di precoce e affidabile sensore della qualità dell'eco-sistema e della salute generale (seme sentinella). Termometro dei danni sulla salute umana dei «veleni» respirati, bevuti e mangiati. Che ovviamente sono in eccesso e fuori della norma laddove il loro eccesso è illegale. Il fine è quello di avviare, in attesa dei tempi lunghi del risanamento ambientale, attività concrete ed immediate di prevenzione primaria attraverso regimi alimentari e modifica degli stili di vita che favoriscano la detossificazione naturale («bonifica») dell'uomo nelle aree inquinate a salvaguardia della salute riproduttiva e globale.

 

I risultati dei primi studi pubblicati già su importanti riviste internazionali su 222 campioni selezionati da due aree campane ad alto (Terra dei Fuochi) e basso (Alto-Medio Sele, Salerno) impatto ambientale, già indicavano differenze statisticamente significative in termini di maggiore accumulo di alcuni metalli pesanti, di danni al Dna spermatozoario, di riduzione delle difese antiossidanti nel liquido seminale, di alterazioni della motilità spermatica nei soggetti della Terra dei Fuochi rispetto a quelli del Salernitano, quelli in fase di pubblicazione e presentati in anteprima al congresso Siru, invece, riguardano ulteriori 327 campioni provenienti dalle aree campane, da Palermo e dall'area dell'Ilva di Taranto che ulteriormente confermano l'estrema sensibilità del seme all'esposizione ambientale ed in particolare il Dna spermatico, parametro seminale che risente più precocemente del danno ambientale, alterato in media del 35% circa, con danni significativamente maggiori nei soggetti residenti in Terra dei Fuochi e Taranto rispetto a quelli di Palermo e del Salernitano. Il progetto, peraltro, si sta già avviando anche con la versione femminile. Conclude Montano: «La misurazione della fertilità può diventare un presidio di prevenzione, non solo per le patologie riproduttive, ma anche per quelle cronico-degenerative dell'adulto e a difesa delle generazioni future».
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