Terra dei fuochi, intervista al vescovo Antonio Di Donna: «Si fa troppo poco e c'è chi nega anche i rischi»

Terra dei fuochi, intervista al vescovo Antonio Di Donna: «Si fa troppo poco e c'è chi nega anche i rischi»
di Gigi di Fiore
Mercoledì 12 Ottobre 2022, 11:00 - Ultimo agg. 15:03
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Presidente della Conferenza episcopale campana, Antonio Di Donna vescovo di Acerra, ha presenziato al terzo incontro dei nove vescovi e dei sacerdoti delle province di Caserta e Napoli che fanno parte della «terra dei fuochi», da anni al centro di un allarmante inquinamento ambientale che ha causato decine e decine di vittime di tumore. Dopo Teano e Casapesenna, il terzo incontro si è tenuto in un hangar nell'area della ex Ma.c.ri.co a Caserta, magazzino ricambi dei mezzi corazzati dell'esercito fino a una trentina di anni fa, acquisito dalla Diocesi di Caserta per farne un parco urbano luogo di incontro socio-culturale. 

Vescovo Di Donna, che significato hanno gli incontri delle nove Diocesi di Caserta e Napoli?
«Siamo nove Diocesi di quella che viene definita la terra dei fuochi.

Portiamo una testimonianza, che è una decisa discesa in campo della Chiesa su un tema delicato e importante come il degrado ambientale e le gravi ricadute che determina sulla salute della gente».

Un'iniziativa destinata a diventare impegno stabile, su questi temi, per le nove Diocesi della «terra dei fuochi»?
«Proprio così. Non è più tempo di assenza, dobbiamo attivare il nostro impegno in modo organico e specifico. Un impegno finalizzato alla sistematica educazione dei parrocchiani sulla sensibilità ambientale, nell'obiettivo di mantenervi sempre i riflettori accesi».

La Chiesa come educatrice, sui temi dell'inquinamento e della tutela dell'ambiente?
«Sì, ci poniamo un obiettivo di lungo periodo, ma importante, che fa parte dei nostri compiti educativi. La sensibilizzazione delle coscienze a preservare i luoghi dove si vive e opera è essenziale e va collegata a continui confronti con le istituzioni sul territorio, come con le Procure cui dobbiamo sentirci vicini nell'opera di tutela del territorio».

Tra i nove vescovi, che si incontrano ogni due tre mesi, si è diffuso il bisogno di coinvolgere tutti i sacerdoti delle loro Diocesi?
«Sì, un'esigenza avvertita da tutti noi. Nel nostro territorio, c'è qualcuno che è stato profeta e anticipatore sui temi ambientali e sulla loro denuncia, come don Maurizio Patriciello, ma ora è tempo che l'impegno diventi corale, sia collettivo senza deleghe e senza lasciarlo a singoli sacerdoti».

Ritenete importante la vicinanza al lavoro delle Procure?
«Senza dubbio. Abbiamo condiviso l'iniziativa della Procura Napoli nord, allora presieduta dal dottore Greco, che acquisì un report dell'Istituto superiore della sanità sul nesso tra inquinamento ambientale e tumori nelle nostre terre. Da allora, il dialogo è stato costante. Speriamo di allargarlo alle Procure di Nola e Santa Maria Capua Vetere».

Dialogare sui temi ambientali è ancora più importante con chi decide gli interventi amministrativi, come la Regione?
«Sicuramente. È la Regione che decide e interviene in tema ambientale e di inquinamento. Ma con la Regione il dialogo è più sofferto perché, anche se mette in campo molti interventi come la rimozione delle ecoballe, assume spesso atteggiamenti culturali di rimozione strisciante sui pericoli ambientali».

Chi pensa abbia l'atteggiamento di rimozione culturale di cui parla?
«Non c'è una persona in particolare. È un atteggiamento diffuso. Si attuano interventi concreti, ma poi si dice parliamone poco altrimenti facciamo male all'immagine della nostra terra. Noi invece pensiamo che la denuncia, evidenziare che in più aree i problemi permangono, sia importante. Intendiamoci, non voglio accendere polemiche. Dico solo che la Regione può fare molto, perché il problema ambientale esiste».

La Chiesa di queste nove Diocesi che messaggio di speranza può dare?
«La nostra opera cerca di sensibilizzare all'educazione ambientale. Diciamo che bisogna essere più attenti su questo tema, per arrivare a una specie di cittadinanza attiva. Tutti devono diventare soggetti impegnati a salvaguardare il proprio territorio. Allo stesso tempo, la Chiesa vuole portare un messaggio di speranza sul futuro delle nostre terre. Ma i riflettori sui problemi ambientali non vanno spenti e la nostra voce si sentirà sempre e in maniera corale». 

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