Roghi di rifiuti, impianti al collasso e ora si rischia l'emergenza

Roghi di rifiuti, impianti al collasso e ora si rischia l'emergenza
di Daniela De Crescenzo
Domenica 4 Novembre 2018, 08:00
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Non c'è una sola mano dietro gli incendi che devastano l'intera Penisola, dalla Campania alla Lombardia, passando per il Veneto e il Piemonte: i trecento roghi che si contano dal 2014 non sono stati orchestrati da un solo regista, non ci sarebbero quindi dietro solo i clan anche se molte ditte che si muovono nel settore sono figlie delle stesse imprese in odore di camorra che negli anni Ottanta e Novanta hanno portato in Campania i veleni di mezz'Italia. È questa la convinzione di investigatori ed esperti del settore, mentre il governo si appresta a tenere un Consiglio dei ministri il 19 novembre a Napoli o a Caserta, come annunciato dal ministro dell'Ambiente, Sergio Costa.
 
Un vertice contro quei roghi che servono probabilmente ad eliminare i rifiuti che gli impianti legali non riescono a smaltire. La crisi sarebbe quindi dovuta alla mancanza di strutture e di risorse economiche. In Campania esauriti gli spazi nei capannoni, nei piazzali, lungo i viali d'accesso e pure negli anfratti più nascosti, le società che gestiscono gli stir potrebbero essere costrette a dire basta e a lasciare i rifiuti nei cassonetti dando così il via libera a una crisi che da anni minaccia di esplodere. Questa volta, però, la scena del dramma non sarà più solo Napoli, né sarà travolta solo la Campania perché, lo hanno dimostrato chiaramente i roghi degli ultimi mesi, a scoppiare di spazzatura è l'intera penisola. E infatti anche le ditte che negli anni passati hanno trasportato e smaltito al Nord i residui della nostra regione nelle ultime gare hanno dato forfait in mancanza di possibili destinazioni finali.

All'ultimo bando lanciato dalla Sapna, la società della Città metropolitana di Napoli, hanno risposto solo due imprese e cinque lotti sono andati deserti. Prezzo a base d'asta 195 euro a tonnellata, cinquanta in più i quelli spesi lo scorso anno. La concorrenza della città di Roma, anche lei priva d'impianti, ma anche quella della Liguria, stanno facendo lievitare i costi in una specie di folle asta della monnezza. Chi perde si tiene la spazzatura e i rifiuti riempiono tutti gli spazi liberi nei pochi impianti disponibili e soprattutto nei tritovagliatori, i cosiddetti stir, che dovrebbero separare la frazione secca da quella umida e che sono gestiti dalle società provinciali. A Casalduni ci sono 14 mila tonnellate di pattume, a Giugliano 26.500, a Tufino 21.500, a Caivano 15 mila, Battipaglia, 23 mila a Santa Maria Capua Vetere 27 mila, a Pianodardine 6.500, per un totale di 133 mila tonnellate tra frazione secca e frazione umida. Intanto le società provinciali rischiano di crollare sotto i debiti: devono alla Regione più di 300 milioni e hanno pagamenti arretrati nei confronti delle imprese fornitrici di materiali e di servizi. La Samte, la società pubblica beneventana che gestisce lo stir di Casalduni, ha dovuto portare i libri contabili in tribunale e dimezzare lavoro e stipendio ai dipendenti: quando l'impianto è bruciato erano tutti a casa. Lo stir di Santa Maria è gestito dalla Gisec: i lavoratori del consorzio di bacino di Salerno 2 chiedono da anni di essere assunti nel casertano visto che per motivi misteriosi lavorano nella discarica di San Tammaro. Un groviglio di interessi quasi impossibile da dipanare. In questa situazione diventa sempre più difficile gestire anche l'ordinario, figuriamoci l'emergenza. Dice l'ex assessore regionale Giovanni Romano: «Da anni ho segnalato una crisi economica e finanziaria nel settore».

Non è finita qui. Cancellati dal piano regionale tutti i termovalorizzatori, al palo gli impianti di compostaggio che dovrebbero lavorare la frazione umida, in regione da più di un decennio non si realizza nemmeno una nuova discarica, né una qualsivoglia struttura capace di eliminare rifiuti. Ieri la Sapna ha scritto per l'ennesima volta alla prefettura chiedendo un presidio fisso dell'esercito nei pressi dei tritovagliatori di Giugliano e di Tufino. Lo aveva già fatto tre volte dopo che le fiamme avevano devastato i capannoni delle ditte private De Gennaro, Lea e Ambiente Spa e lo stir di Casalduni. Ma, se i saldati riusciranno a fermare gli incendiari non si libereranno nuovi spazi e i rifiuti resteranno in strada.

Si sgonfierà così probabilmente il sogno (o l'illusione) di risolvere tutto con la raccolta differenziata. Fino a gennaio dello scorso anno, spiegano alla Sapna, circa 7 milioni di materiali separati finivano in Cina. Poi quel mercato è stato chiuso dal governo di Pechino evitando che il Paese diventasse definitivamente la pattumiera del mondo. E adesso non si sa più che fare di quei rifiuti separati a caro prezzo e con grande fatica dai cittadini.
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