Terrorismo e le carte false a Napoli, maxi processo al palo da cinque anni

Terrorismo e le carte false a Napoli, maxi processo al palo da cinque anni
di Leandro Del Gaudio
Domenica 29 Ottobre 2017, 22:48 - Ultimo agg. 30 Ottobre, 09:47
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Qualcuno sarà caduto dalle nuvole, quando ha letto la notizia dell’arresto di quel ghanese. Avrà alzato le spalle, dando inizio al giro di accertamenti e verifiche destinate a risultare superflui. Nel senso che sulla vita e sulla trama di contatti di Mohammed Alì Tahiru si sa già tutto da almeno una dozzina di anni. Sul 43enne arrestato qualche giorno fa in vico Fondaco a Vicaria per il possesso di ottomila documenti fasulli, ci sono capitoli investigativi rimasti lettera morta per anni: sepolti in un cassetto, archiviati in un computer, incardinati in un fascicolo processuale che fa fatica a decollare. Partiamo da una domanda: chi è l’uomo che, in piena emergenza terrorismo, teneva trecento foto tessera alla parete? Chi è il faccendiere della moschea di via Torino? Per gli addetti ai lavori non dovrebbe essere un mistero, dal momento che il suo profilo è noto da tempo agli inquirenti che reggono le fila dell’intelligence nazionale. 

Basta leggere la richiesta di rinvio a giudizio inoltrata al gip il 30 novembre del 2012 dall’allora pm dell’antiterrorismo Luigi Musto. Scriveva cinque anni fa il magistrato, a proposito di Tahiru: «Si associava a una organizzazione finalizzata stabilmente alla falsificazione di documenti quali passaporti, carte di identità, codici fiscali, tessere sanitarie, patenti di guida, permessi di soggiorno, targhe e documenti di circolazione per autovetture, apponendo gli falsi stessi sigilli di enti pubblici deputati al rilascio...». Insomma, l’accusa per la quale il nostro Mohammed Alì era stato rinviato a giudizio è la stessa ipotesi che ha consentito alla polizia municipale di fare incursione in una casa in zona Vicaria e mettere a segno il colpo a sorpresa. Decisivo il lavoro degli uomini della sezione giudiziaria della polizia municipale, sotto il comando del capitano Giuseppe De Martino, capaci di muoversi in assoluta autonomia, forti di buone fonti e di solidi canali informativi nei pressi della stazione centrale. Resta però da chiedersi che fine ha fatto quel processo a carico del ghanese e degli altri imputati, vale a dire di un atto di accusa che dovrebbe bastare da solo a rendere impossibile ogni altro traffico di documenti per i singoli imputati. Stando alla richiesta di processo di cinque anni fa, a finire a processo erano in 45. Molti africani, tutti di religione islamica, ma anche alcuni italiani ritenuti legati al malaffare nella zona della Ferrovia e del rione Mercato. Tutti più o meno vicini a tale Ahmedi Khemisti, noto ai reparti investigativi come «Zidane» (per la sua straordinaria somiglianza all’ex calciatore della nazionale francese), a sua volta regista di un colossale traffico di documenti di ogni tipo. Un’inchiesta durata anni, sostenuta da intercettazioni telefoniche e ambientali, che sollevò allarme anche per il possibile contatto di quattro o cinque indagati con vicende legate al terrorismo internazionale di matrice islamica.
 
Insomma, una vicenda che ha prodotto arresti e sequestri, fino alla costruzione di un maxiprocesso con 45 imputati (tra cui anche Mohammed Alì Tahiru) che non ha consentito al momento di portare a casa esiti significativi. Anzi: il dibattimento è rimasto incagliato nelle secche delle procedure giudiziarie, facendo registrare una serie di false partenze. In sintesi, il fascicolo ha cambiato sezione più di una volta, mentre gli imputati sono stati via via scarcerati per cessate esigenze cautelari o per decorrenza dei termini di custodia cautelare. Difetti di notifica, difficoltà a reperire traduttori delle intercettazioni, complessità nella trasmissione negli atti ha reso del tutto impuniti i presunti responsabili del giro di falsi documenti. Fatto sta che il prossimo 25 gennaio, dinanzi alla prima sezione penale, i presunti complici di «Zidane» sono attesi per quella che dovrebbe essere la volta buona per far decollare un processo rimasto per cinque anni al palo. 

Difesi - tra gli altri - dai penalisti Giovanna Cacciapuoti, Loredana Di Luca, Carlo Fabozzo, Giacomo Pace - gli imputati sono chiamati in aula a difendersi in un processo che rischia a breve di fare i conti con la mannaia della prescrizione: mentre la storia del ghanese che fabbricava migliaia di documenti falsi tornerà ad impegnare l’attenzione del pool antiterrorismo (oggi guidato dall’aggiunto Rosa Volpe). 
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