Tiziana Cantone, c'è la denuncia: «È stata uccisa, ecco le prove raccolte»

Tiziana Cantone, c'è la denuncia: «È stata uccisa, ecco le prove raccolte»
di Leandro Del Gaudio
Venerdì 8 Gennaio 2021, 10:00
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C'è la convinzione che non si sia suicidata. Non è lo sfogo di una donna, di una madre che non sa darsi pace per la morte della figlia, né il tentativo postumo di fare giustizia contro chi ha contribuito a infangare il suo nome. C'è la convinzione che Tiziana Cantone si sia ammazzata. Da ieri, è stato depositato un esposto firmato dall'avvocato Salvatore Pettirosso, il penalista che assiste Maria Teresa Giglio, madre di Tiziana. Ci sono tutti i punti da affrontare per fare chiarezza sul decesso avvenuto il 13 settembre del 2016, all'interno della tavernetta di un'abitazione di Mugnano. Due le questioni esplorate nel corso dell'esposto: la pista informatica e quella genetica, al termine del lavoro condotto dagli analisti della Emme Team. Un esposto destinato al pm Giovanni Corona, magistrato in forza alla Procura di Napoli nord guidato dal procuratore Francesco Greco, a cui spetta ora il compito di ripercorrere i punti indicati nella denuncia (ovviamente al netto delle verifiche svolte dal suo ufficio fino a questo momento).

C'è un primissimo dato che salta agli occhi, almeno a sfogliare le conclusioni di parte.

Dall'analisi del contenuto di telefonino e pad della 31enne di Mugnano, emerge un numero di telefono come chiave di accesso del mondo oscuro in cui era precipitata Tiziana. Un 328... (ma il numero è indicato per esteso), che sta alla base degli accessi alla mail, al cellulare e agli account social della giovane donna: un numero che non risulta intestato a Tiziana.

Ma vediamo su quali altri punti fa leva la richiesta di apertura di un processo per omicidio. Doverosa, prima di entrare nel merito, una premessa: anche in questo caso, l'autorità giudiziaria svolgerà i dovuti accertamenti senza alcun pregiudizio per le nuove conclusioni e per le indagini fatte in precedenza, con un approccio interessato solo a raggiungere una compiuta ricostruzione dei fatti. 

Partiamo dal giallo della pashmina. È l'indumento usato come cappio, attorno al collo della sventurata, trovata attaccata a una panca da ginnastica, all'interno della sua abitazione. Chiede il legale di parte: che senso ha usare un pezzo di stoffa così difficile da maneggiare, quando in casa c'erano cinture di accappatoio o di pantaloni, corde e strumenti più adatti ad impiccarsi? Stando ancora alla ricostruzione dei consulenti americani, che si sono affidati a un pool di biologi, sulla pashmina è stato rintracciato cromosoma maschile, che non sarebbe compatibile con quello di nessuno degli uomini della famiglia di Tiziana. A chi appartiene? C'è la richiesta di confrontare quella traccia genetica a quella del carabiniere di cui si conoscono le generalità, partendo anche da un'osservazione della madre della donna trovata soffocata: «Mai visto quell'indumento nel guardaroba di mia figlia». Ma chi avrebbe avuto il desiderio di uccidere Tiziana? E per quale motivo? Sempre seguendo la ricostruzione depositata in Procura, viene ricordato che la 31enne era avvilita per la diffusione di scene di vita privata destinate a un ristretto pubblico di amici o di frequentatori di chat per adulti. Nomi spariti, rimossi. Finita al centro di una sorta di gogna mediatica (che oggi, dopo il dramma di Tiziana, chiamiamo revenge porn), la 31enne abitava un mondo di soggetti privi di scrupoli, che avrebbero avuto interesse a zittire la donna. Poi ci sono altri punti da esplorare, secondo la difesa: come la testimonianza della zia (la prima soccorritrice), che ricorda di aver sciolto il cappio della pashmina con una sola mano, a dimostrazione che il nodo non fosse in tensione, come se qualcuno avesse adagiato il suo capo, dopo averla strangolata. Scrive il legale: «Mi preme rappresentare all'autorità giudiziaria che è perfettamente avanzabile che una persona di sesso maschile abbia toccato e utilizzato la pashmina sull'intera superficie, mettendola al collo di Tiziana...». Per poi far sparire - si legge - la collana amuleto dal collo e uscire dalla porta secondaria della tavernetta, perfettamente agibile a chi aveva intrecciato contatti con la 31enne di Mugnano.

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