Tombaroli e camorra, ecco la «guerra» silenziosa di Pompei

Tombaroli e camorra, ecco la «guerra» silenziosa di Pompei
di Dario Sautto
Lunedì 15 Aprile 2019, 07:30
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Gli scavi illegali gestiti da squadre di tombaroli specializzati e il traffico di reperti archeologici «apprezzato» anche dai clan di camorra. Vari filoni d'inchiesta stanno provando a ricostruire il coinvolgimento diretto della malavita organizzata nella vendita di oggetti trafugati da aree archeologiche e da domus ancora sepolte. Terreno fertile per i collezionisti, in gran parte facoltosi e residenti all'estero, ma anche tanti italiani, che appartengono alle famiglie «bene».
 
Non fa eccezione Napoli e provincia, con molti appartamenti trasformati in piccoli musei con pezzi d'antiquariato acquistati sul mercato nero. La Pompei antica, le domus ancora sepolte di Boscoreale e quelle meno note di Stabia, Nocera e Sant'Antonio Abate, con le intere aree inesplorate dell'antica Paestum e di piccoli insediamenti di epoca romana scoperti in Puglia. Sono questi i luoghi «preferiti» dai tombaroli. Uno dei cunicoli illegali, a Civita Giuliana, nella periferia di Pompei, fu bloccato dai carabinieri e, grazie alla collaborazione tra Procura di Torre Annunziata e Soprintendenza, sono iniziati gli scavi che hanno permesso un anno fa di portare alla luce il primo calco intero di un cavallo.

Non sempre è possibile intercettare gli esperti tombaroli durante gli scavi. Spesso le prime tracce compaiono direttamente durante le compravendite dei pezzi di storia trafugati. Perché non è sempre semplice piazzare oggetti di questo genere, che in alcuni casi - come emerso dall'inchiesta Artemide - vengono veicolati da case d'aste e gallerie d'arte, che si prestano al gioco dei trafficanti. La fitta rete di intermediari porta spesso all'estero, in Svizzera, Emirati Arabi e Stati Uniti in particolare, dove i pezzi dell'antica Pompei sono molto ricercati e apprezzati. E poi c'è la camorra, che si inserisce facilmente in tutti i traffici illeciti.

Una delle squadre di tombaroli - che ora rischia il processo, con la richiesta di rinvio a giudizio in discussione per una ventina di persone dinanzi al gup del tribunale di Torre Annunziata - era ritenuta nell'orbita del clan Cesarano, che tra la periferia di Castellammare di Stabia e Pompei ha il suo quartier generale e gran parte degli interessi illegali. I Cesarano, racconta un'inchiesta partita nel 2014 e coordinata dalla Dda di Napoli, avevano più di un collegamento con quella squadra di tombaroli. Contatti che curava anche il clan D'Alessandro, come racconta il collaboratore di giustizia Renato Cavaliere già nel 2012.

E poi c'è l'ultima traccia seguita degli investigatori, che pochi giorni fa ha portato i finanzieri del gruppo di Torre Annunziata e della compagnia di Castellammare a ritrovare un mini museo all'interno di un appartamento del centro stabiese. In casa, un 59enne benestante, incensurato e insospettabile, aveva un centinaio di reperti archeologici di varie epoche, a cominciare da due anforischi del VI secolo avanti Cristo perfettamente conservati e trafugati nella parte nocerina della valle del Sarno, insieme a un moneta d'oro dell'ultimo imperatore romano Teodosio (III secolo dopo Cristo) e una decina di spadini medievali. Almeno al momento è escluso il coinvolgimento della camorra in quest'ultimo filone investigativo, coordinato dalla Procura di Torre Annunziata, e che punta a colpire soprattutto i beneficiari del traffico di reperti archeologici: i collezionisti. Imprenditori e professionisti, che a Pompei e Castellammare adornano le proprie abitazioni con pezzi da museo.
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