Torre Annunziata, picchiata dal compagno: «Ma era solo colpa mia, mi tradiva ed ero gelosa»

Torre Annunziata, picchiata dal compagno: «Ma era solo colpa mia, mi tradiva ed ero gelosa»
di Dario Sautto
Lunedì 19 Settembre 2022, 22:54 - Ultimo agg. 21 Settembre, 07:25
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«L’ho denunciato perché mi aggrediva? Sì, è vero, l’ho denunciato due volte. Ma era sempre colpa mia, ero troppo gelosa. Anzi, adesso abbiamo fatto pace». Due volte ha trovato il coraggio di denunciarlo perché la picchiava, ma per due volte lo difende, in un nome di un amore malato che, ad appena 22 anni, le fa credere che la vita di coppia significhi anche prendersi qualche schiaffo e farsi insultare. «Qualche volta mi ha anche chiamata p..., ma avevo iniziato sempre io la lite». 

Il racconto da classica sindrome di Stoccolma arriva da Torre Annunziata, dall’aula Giancarlo Siani del tribunale oplontino, collegio presieduto dal giudice Riccardo Sena, a latere Maria Ausilia Sabatino e Adele Marano.

A processo c’è Antonio, 25enne con precedenti per droga, accusato di maltrattamenti in famiglia ai danni della sua compagna. Al banco dei testimoni c’è proprio lei, Maria (nome di fantasia), che due anni fa decise di denunciarlo, recandosi dalla guardia di finanza, perché quella caserma era la più vicina alla sua abitazione. Anche nel 2018 aveva denunciato Antonio, ma dopo qualche settimana aveva deciso di rimettere la querela «perché ci eravamo chiariti». 

Quel procedimento non andò avanti. Stavolta, invece, c’è un processo in corso perché il reato contestato è procedibile d’ufficio. Tra l’altro, il contenuto di quelle denunce sembra una fotocopia: lui la picchiava – come ha letto il pm Antonio Barba – per futili motivi. «Ci siamo fidanzati quando avevo appena 15 anni e spesso mi aggredisce sia fisicamente che verbalmente. Tutto inizia per gelosia nei miei confronti, oppure per motivi banali» aveva raccontato lei in sede di denuncia. 

Quel passaggio è stato letto in aula e confermato dalla giovane testimone, con delle precisazioni. «Nel frattempo abbiamo fatto pace, abbiamo un figlio e la convivenza va bene» ha rassicurato Maria, che in aula era arrivata insieme alla mamma. «I miei genitori sono sempre stati contrari a questa relazione, ma noi ci vogliamo bene» ha aggiunto. E le aggressioni? Alla domanda del pubblico ministero, Maria ha risposto in maniera spiazzante: «Non erano vere e proprie aggressioni. Cioè, ero io ad iniziare a litigare perché avevo scoperto un tradimento ed ero troppo gelosa. Forse ero un po’ depressa dopo il parto, non ero in me. E quindi lui per fermarmi diciamo che mi aggrediva». Una mezza ammissione che sa molto di ritrattazione, per far cadere le accuse ai danni del suo compagno. E cosa succedeva nel 2018? «Il motivo era sempre lo stesso – ha continuato Maria – io ero gelosa di Antonio e gli dicevo delle “parole”, così litigavamo. Ritirai la denuncia perché ci chiarimmo e dopo un po’ andammo a convivere».

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Durante quella convivenza, appunto, è arrivata la gravidanza, poi il parto e le nuove aggressioni. «Sempre per colpa mia» ha detto Maria, in una continua giustificazione del compagno. «Ero troppo possessiva e iniziavo io le liti per gelosia» ha ribadito, capovolgendo quello che era il racconto iniziale. Una serie di giustificazioni che hanno spinto il collegio a farle notare che stava dicendo il falso, stava modificando notevolmente la sua versione, oppure le due denunce che aveva presentato non dicevano il vero. L’attendibilità della testimonianza, ovviamente, sarà valutata dai giudici. 

Sempre ieri mattina, nella stessa aula si è celebrato un altro processo per maltrattamenti in famiglia. Nel 2020, una donna di Castellammare di Stabia aveva denunciato di essere vittima di violenze da parte del marito 45enne. Aggressioni che sopportava in silenzio dal 2011 e che subiva anche in presenza dei figli minori. Da quasi due anni, il 45enne è sottoposto al divieto di avvicinamento e, assistito dagli avvocati Giuliano Sorrentino e Giovanni Sicignano, adesso sarà sottoposto ad una perizia medica ordinata dai giudici su istanza dei suoi difensori che mettono in dubbio la capacità dell’imputato di stare a giudizio. 

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