Truffa al concorso penitenziaria,
in 160 traditi dalle chat WhatsApp

Truffa al concorso penitenziaria, in 160 traditi dalle chat WhatsApp
di Giuseppe Crimaldi
Venerdì 15 Febbraio 2019, 22:59 - Ultimo agg. 16 Febbraio, 18:27
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A tradirli è stata l’incrollabile fiducia in WhatsApp. Crolla anche l’ultimo muro di protezione della messaggistica che si riteneva sicura e, soprattutto, impenetrabile: ad abbatterlo sono stati i militari della Guardia di Finanza di Napoli impegnati in una delicata indagine su presunti posti «venduti» in occasione del concorso per il reclutamento, nel 2016, di 400 allievi agenti del Corpo di polizia penitenziaria. Chattavano, si scambiavano informazioni e consigli su come superare le prove scritte: da un lato i concorrenti, e dall’altra gli organizzatori della truffa, i quali avevano già in tasca le soluzioni ai quiz. Ieri mattina - a conclusione di un’inchiesta coordinata dal procuratore della Repubblica di Napoli Giovanni Melillo e dal sostituto Giancarlo Novelli - tre persone sono state arrestate e finite ai domiciliari con accuse gravissime: associazione per delinquere finalizzata alla corruzione, alla rivelazione del segreto d’ufficio, truffa ai danni dello Stato e ricettazione.

IL SISTEMA
Quattrocento i posti messi a bando. Un boccone ghiottissimo per chi sfrutta la fame di lavoro riuscendo a promettere posti in cambio di soldi. Per riuscire ad ottenere le soluzioni dei test in anticipo si sborsavano dai dieci ai 30mila euro. Concorsopoli atto secondo. Già, perché, secondo l’accusa, a muovere i fili dell’associazione delinquenziale c’erano alcuni dei personaggi già finiti in manette nell’ottobre scorso perché sospettati di aver truccato le carte del concorso nell’Esercito. Ma l’indagine odierna ha svelato altri particolari inediti sulle modalità truffaldine escogitate per far superare ai concorrenti il temutissimo scoglio delle prove scritte.

Le soluzioni ai quiz erano già nelle mani dei truffatori due giorni prima che si svolgessero le prove. E i candidati infedeli - in tutto 160 indagati, ai quali è stato notificato sempre ieri un avviso di conclusione indagini - riuscirono a farsi beffe di tutti i controlli introducendo nel salone in cui le prove si svolgevano le risposte alle domande. Fantasiosi gli stratagemmi escogitati: le risposte esatte arrivavano grazie a micro-auricolari; oppure nascoste in braccialetti, nelle cover dei cellulari, e persino stampate nelle magliette intime o T-shirt, all’interno delle quali erano state impresse risposte esatte sotto forma di simboli matematici.

 

Ad inchiodare gli indagati ci sono poi le conversazioni scambiate in chat su WhatsApp: ed è la prima volta che - grazie a nuovi potentissimi sistemi di intercettazione - si riesce a violare quello che appariva come un muro incrollabile. Merito del lavoro dei finanzieri del Nucleo di polizia tributaria guidati dal colonnello Domenico Napolitano. L’indagine è il seguito naturale dell’inchiesta che portò all’arresto - tra gli altri - del generale a riposo dell’Esercito, Luigi Masiello. Per la cronaca va precisato che l’ombra del grande imbroglio dei quiz truccati aleggiò già dai primi giorni successivi alla prova del concorso, grazie a un lavoro investigativo cui concorse la stessa PolPen. Ed oggi si apprende che tra i 160 indagati - cioè i giovani concorrenti che aspiravano ad un posto nella Penitenziaria - ci sono anche soggetti che oggi vestono quella divisa: e che - adesso - rischiano non solo il processo, ma anche di perdere il posto di lavoro.

Agli arresti sono finiti Dario Latela, Carolina Caiazzo e Daniele Caruso. Indagini in corso anche sul ruolo avuto dalla «Intersistemi spa» di Roma, società che si era aggiudicata l’appalto per l’elaborazione, la stampa e la fornitura delle batterie di questionari.

(ha collaborato Viviana Lanza)
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