Truffa falsi incidenti, gli arrestati: «Facciamo numeri da industria»

Truffa falsi incidenti, gli arrestati: «Facciamo numeri da industria»
di Viviana Lanza
Mercoledì 17 Ottobre 2018, 22:48 - Ultimo agg. 18 Ottobre, 19:06
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Ad ascoltare le loro conversioni si definiscono «una squadra», si motivano ricordando che «noi dobbiamo lavorare bene e sempre» e si vantano di fare «numeri da industria». Perché gestire in anno 2800 sinistri, di cui 2200 già iscritti a ruolo, vuol dire smuovere un gran giro di affari, considerato che per ogni pratica il danno risarcibile oscilla dai mille ai tre/quattromila euro. L’inchiesta svela però una realtà diversa: più che una squadra si tratterebbe di una vera e propria organizzazione illegale e le pratiche di cui ci si vanta sarebbero istruite su incidenti falsi, inventati a tavolino optando sempre per danni alle cose e mai alle persone, con tanto di firme false e falsi testimoni.
«Ciao, totale 2800 sinistri con 2200 iscritti a ruolo». E’ in un sms che gli investigatori intercettano nel luglio 2015 che si traccia un primo bilancio dei numeri che sarebbe capace di fare l’organizzazione finita al centro delle indagini.  
E’ Vincenzo Cocozza che scrive all’avvocato De Felice. La risposta sembra compiaciuta: «Azz...numeri da industria. Comunque l’inghippo è stato due clienti stesso nome e cognome e poi quella diceva via Salvator Rosa senza specificare che era Afragola....Vabbé l’importante è che è tutto chiarito....buona serata». Sì, perché di intoppi se ne presentavano quando si facevano «trastole». E’ proprio così che si sente dire in alcune delle intercettazioni finite agli atti. «Voi avete fatto una trastola, avete fatto fare le fotografie per fare una pratica sopra, avete firmato....mo’ è inutile che iat addu nat avvocato...» dice Cocozza al marito di una signora che si era prestata a vendere il finto danno al suo veicolo in cambio di compenso.
SPESA E PIGIONE
Sono queste le motivazioni più frequenti per cui ci si improvvisava falsi testimoni. Dalle intercettazioni emerge anche questo spaccato sociale, e si capisce che quello del falso testimone per tanti era un lavoro. Gli addetti al reclutamento dei finti testimoni pare avessero un bacino ben preciso di persone tra le quali scegliere. C’erano anche precise aree di provenienza: Fuorigrotta e i rioni del centro storico, Sanità, Stella e San Carlo Arena. E più frequentemente la scelta ricadeva su casalinghe e disoccupati. Ogni mattina, all’ingresso degli uffici dei giudici di pace, si riunivano gli aspiranti falsi testimoni che si offrivano di imparare e recitare bene la parte per 100 euro, a volte anche per 50. «Perché aggia fa ‘a spesa» è la motivazione di qualcuno. Tutti i falsi testimoni venivano impiegati seguendo una turnazione in modo da evitare di destare sospetti.
UN RECORD
Ci sono grandi numeri in questa inchiesta. E non soltanto con riferimento al giro di affari. Nel trattare la posizione di Vincenzo Cocozza, accusato di essere una delle menti dei falsi sinistri, gli inquirenti indicano anche una statistica, spiegando che sul suo conto sono emerse 127 ricorrenze nelle quali in ben 117 casi ha avuto il ruolo di danneggiato e tutti i sinistri risultano patrocinati da avvocati tra quelli finiti sotto inchiesta.
SOFTWARE CRACCATO
Una delle prove del presunto inganno consiste nelle perizie. Tutte provenivano dalla stessa società. I pm hanno ascoltato il manager dell’azienda: «La nostra è una multinazionale che produce software per compagnie assicurative, periti, carrozzieri e officine meccaniche. Non facciamo perizie e preventivi. Quelle perizie inserite nei fascicoli sono state redatte con un software craccato privo di licenza d’uso». 
PIC INDOLOR
Come lo slogan della famosa siringa indolore, gli indagati al telefono davano rassicurazioni sul loro modo di operare. «Questa è una pic indolor...» dice Megna a Giuseppe Di Vicino per convincerlo a presentarsi come falso testimone. «Ne ho fatte troppe...» replica lui come a voler rifiutare l’ingaggio. «Non ti preoccupare questa è una cosa semplice perché il danneggiato è mio cugino Umberto». 
LA PARENTELA
E spunta anche una parentela che spinge gli inquirenti ad approfondire le indagini ad ampio raggio. Sia uno dei falsi testimoni sia il titolare di un telefono utilizzato da uno degli avvocati indagati risultano imparentati con Mariano Bacio Terracino, assassinato al rione Sanità nel maggio 2009 in un agguato di camorra.
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