Truffa sui figli, «vendevano» la paternità a migranti nordafricani: in salvo 3 bimbi

Truffa sui figli, «vendevano» la paternità a migranti nordafricani: in salvo 3 bimbi
di Nico Falco
Venerdì 13 Luglio 2018, 08:38
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Una donna appena uscita dalla sala parto che vive in auto con le sette figlie e col compagno, i genitori di due delle bambine spariti chissà dove e un uomo che ha 10 giorni per riconoscere l'ultimo nato. Potrebbe essere una storia di miseria estrema, ma a volte la realtà è peggio di quanto potrebbe sembrare: dietro c'era un giro di false paternità, orchestrato per ottenere dei permessi di soggiorno. La situazione è venuta alla luce grazie all'Unità Tutela Minori della Polizia Municipale, guidata dal capitano Giuseppe Cortese. Le bambine, malgrado il tentativo dei genitori di far perdere le loro tracce, sono ora al sicuro in località protetta come il fratellino appena nato.

Le indagini iniziano a metà marzo, quando i sanitari del San Paolo segnalano al Tribunale dei Minorenni una situazione strana: una ragazza ha bloccato le pratiche per la registrazione del bambino dicendo che il piccolo non fosse figlio del compagno. Partono gli accertamenti e si scopre che la donna, 28 anni, originaria del centro di Napoli, con alle spalle un'infanzia di abbandono trascorsa in diverse Case Famiglia, vive con un coetaneo di Ponticelli, pregiudicato, che a sua volta risulta sposato con una ragazza africana. La coppia ha già sei bambine, dai tre ai nove anni, e due di queste sono state riconosciute da due marocchini, pluripregiudicati e destinatari di provvedimento di espulsione, che dopo le pratiche sono scomparsi.
 
La famiglia ha vissuto in una automobile, poi ha occupato un deposito nella zona occidentale. È un ambiente singolo con il vano di ingresso come unica apertura, nessun punto luce, in condizioni igieniche disastrose, senza acqua né luce e i servizi igienici sono un water al centro della stanza nascosto da una tenda. Le bambine sono denutrite, alcune hanno bisogno di cure particolari che non vengono prestate e hanno evidenti difficoltà di linguaggio e a rapportarsi con gli altri.

E' subito chiaro che in quelle condizioni le piccole non possono vivere e lo capiscono anche i genitori, che tentano di dileguarsi. Si trasferiscono da un parente, ma gli agenti riescono a rintracciarli di nuovo e ricostruiscono i loro spostamenti sentendo scuole e pediatri tra Napoli e Provincia. Intanto il neonato è ancora al San Paolo. Il tempo scorre e resta poco per riconoscerlo ed è possibile farlo solo in ospedale o nell'ufficio comunale dove risulta residente la famiglia. Così gli agenti organizzano l'appostamento e allo scadere del termine, proprio al decimo giorno, allo Stato Civile di un Comune vesuviano si presentano la donna, il compagno, il padre di lui e un marocchino, ufficialmente residente a Torino e pregiudicato. Il cerchio si chiude: il bambino, così come le due sorelle, stava per essere riconosciuto da un uomo che per «diventare padre» aveva pagato. Mettere il suo nome su quel certificato, essere identificato come genitore di un bimbo italiano, avrebbe significato per lui avere un lasciapassare prezioso: un permesso di soggiorno da 18 anni. Il neonato, affidato inizialmente alla direzione sanitaria, è stato collocato in una casa famiglia e ad aprile lo stesso provvedimento è stato preso anche per le sorelline.
 
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