Ucciso alla Sanità. «Hanno sparato a raffica, potevano ucciderci tutti»

Ucciso alla Sanità. «Hanno sparato a raffica, potevano ucciderci tutti»
di Daniela De Crescenzo
Martedì 8 Settembre 2015, 23:44 - Ultimo agg. 9 Settembre, 14:23
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«Io lavoro al Pocho, il pub che si trova prorio in piazza Sanità. Sabato sera Genny stava qua con gli amici, era un po’ tardi, ma era sabato e nel week end la notte la Sanità è piena di ragazzi. Lui era qua con gli amici come sempre a chiacchierare, ad andare avanti e indietro con il motorino senza fare nulla di male. All’improvviso è scoppiato l’inferno. Io ero dall’altro lato della piazza, nel bar dove lavoro, mi sono spaventato, mi sono nascosto sotto un tavolo»: Eddy ha venti anni, ha la pelle scura, ma è nato e cresciuto alla Sanita ed è pronto a raccontare ai giornalisti quello che ha visto. Un testimone oculare, uno di quelli che le forze dell’ordine cercano da sabato notte. «Non ho visto quante moto fossero, ma ho sentito che sparavano a ripetizione, ho visto un ragazzo a terra che cercava di proteggersi tirandosi addosso il suo motorino. Ne potevano uccidere anche di più, tre o quattro. Io ho avuto paura e non sono uscito».



Poi l’invettiva: «Qua nella Sanità sparano anche due o tre volte alla settimana - racconta il ragazzo tra le lacrime - come fanno a non mettere le Volanti? Qua devono stare, i poliziotti, qua dove stiamo noi, nella piazza. A proteggerci. È impossibile continuare così: lo sanno che qua si spara. Devono sparare a me e ai compagni miei perché mi fermo in questa piazza? Devono stare qua,i poliziotti, perché qua sta la merda. Non si devono muovere. E invece no, quando vedono le moto in corsa scappano, si mettono nelle macchine e se ne vanno. Ci lasciano soli». Lui è un fiume in piena, la gente si fa intorno, interrompe, applaude. Ma il ragazzino non si ferma, continua implacabile il suo atto di accusa: «Qua devono stare, non se ne devono andare. Se io sono poliziotto mi metto in questa piazza e non mi muovo, perché lo so che qua sparano. E se gli assassini sanno che ci stanno quattro o cinque macchine delle forze dell’ordine non vengono proprio. E noi ci salviamo. Qua devono state perché noi non possiamo morire, non si può morire così come è morto Genny che era un bravo ragazzo, uno come me, solo che lui andava a scuola e io ho avuto la fortuna di trovare un posto di lavoro. Ma, credetemi: siamo ragazzi normali, ragazzi come tanti, non meritiamo di morire».



«Genny non era un malavitoso, deve tornare alla Sanità dove è cresciuto e dove è morto: in questa piazza si devono fare i funerali»: lo chiede la famiglia di Genny, che ieri ha incaricato l’avvocato Marco Campora di seguire le indagini, lo chiedono i ragazzi che hanno sfilato nelle strade del rione insieme alle mamme, ai politici,agli amministratori, ai sacerdoti. Per il momento la salma di Genny resta bloccata all’obitorio. Ieri c’è stata l’autopsia, ma il corpo resta a disposizione dell’autorità giudiziaria e dalla Questura non è ancora arrivata l’autorizzazione ai funerali: non è stata ricostruita con precisione la dinamica del raid e quindi non è chiara nemmeno la posizione della vittima.



Gli inquirenti lanciano un appello: «Gli amici di Genny devono parlare, ci devono raccontare quello che hanno visto nella notte tra sabato e domenica, solo così potremo capire quello che è veramente è successo». Ma i ragazzi non si fidano, lo ripetono in coro. Lo ribadiscono una, due, cento volte.

Marika è la fidanzata di uno dei ragazzi che era in piazza al momento dell’agguato. Una ragazzina dalla faccia pulita e gli occhi colmi di lacrime. «Sabato sera ero anche io qua, poi sono andata via, perché ho solo quindici anni e devo tornare a casa in orario. Ma so tutto, me lo ha raccontato il mio ragazzo. Mi ha detto che erano rimasti in cinque su una panchina. Loro, i maschi, stavano per ritirarsi. Ha detto Genny: ”Altri dieci minuti e ce ne andiamo, mi date un passaggio”. Hanno aspettato. Poi all’improvviso hanno sentito i motorini che stavano scendendo da sotto il ponte di Capodimonte, sono saliti anche sul marciapiede. Loro sono scappati, si sono girati e hanno visto Genny a terra. Intanto quelli sulle moto tornavano verso il ponte, giravano controllavano la piazza e tornavano». Un bel racconto, preciso. E allora perché non farlo alle forze dell’ordine? Marika non ha dubbi: «E perché, se glielo diciamo che fanno? Quello che hanno fatto finora: niente. Non è la prima volta che sparano. Lo sanno. E come ci hanno protetto?». Ma forse sono solo giustificazioni di chi ha paura.



Francesca, più o meno la stessa età, la interrompe: «Le forze dell’ordine se ne fregano. Io sabato sera ero qua perché ho dormito a casa di una amica. Però sono di Forcella e si spara anche là. Lo sa chiunque». Francesca dice di aver visto tutto. In un video. Secondo lei l’amica avrebbe girato la scena della sparatoria dal balcone di casa. E dove è il filmato? «Lo ho cancellato - è la replica immediata - non potevo mica tenerlo sul telefonino». Fantasie di una bambina? Può darsi. Se fosse vero, invece, un’adolescente avrebbe girato la scena del delitto per farla sparire subito dopo. Eliminando con un click quello che la polizia cerca inutilmente setacciando tutte le telecamere del quartiere.
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