Ucraina: «Noi Ancelle eucaristiche di Napoli apriamo la nostra casa, due famiglie sono già qui»

Ucraina: «Noi Ancelle eucaristiche di Napoli apriamo la nostra casa, due famiglie sono già qui»
di Gennaro Di Biase
Martedì 8 Marzo 2022, 10:17 - Ultimo agg. 17:33
4 Minuti di Lettura

Zakaria e Matthias hanno nomi biblici. In ebraico significano memoria e dono di Yaweh. La più piccola si chiama Luba, amore. I tre bimbi sono arrivati a Napoli nelle ultime ore per fuggire dall'odio che, all'improvviso, ha sbriciolato le loro vite quotidiane e ha trasformato l'infanzia di giochi in un esodo di guerra. Ora la loro nuova casa è in piazza Cavour, in stanze messe a disposizione dalle suore delle Ancelle eucaristiche, dove sono arrivati grazie alla collaborazione del centro educativo diocesano Regina Pacis diretto da don Gennaro Pagano con l'assessorato comunale alle Politiche Sociali. Ad accogliere Zacaria, Matthias e Luba nella casa che ospita in totale 2 nuclei familiari (5 minori e 3 donne) è suor Mariagrazia Maglio: «Appena arrivati - esordisce abbozzando un sorriso - Li ho abbracciati, grandi e piccoli». Non è un'accoglienza facile, quella relativa all'esodo di queste ore: i rifugiati hanno bisogno di garanzie sulla durata e sulla natura della solidarietà offerta dai napoletani (finora sono circa 2000 i posti letto privati). Servono supporto psicologico e privacy, in molti casi, per lasciarsi alle spalle l'incubo della guerra. E serve la certezza che la sistemazione offerta non si interrompa all'improvviso. Per questo si sta dando priorità alle strutture d'accoglienza riconosciute e accreditate, enti ecclesiastici come le Ancelle Eucaristiche che hanno accolto Matthias, Zakaria e Luba. «Impareranno presto l'italiano», sospira suor Mariagrazia. Saranno presto italiani.

Quanti anni hanno i piccoli?
«Matthias e Zakaria hanno undici e tredici anni.

Luba invece ne ha sei».

Come vi state organizzando per farli ambientare?
«Abbiamo capito che in Ucraina si comincia ad andare a scuola a sette anni. Zakaria e Matthias, infatti, hanno portato in Italia i documenti della scuola. Sto cercando di farli tradurre in italiano per capire a che livello di istruzione siano».

Com'è la loro vita in questi primi giorni di fuga dall'orrore?
«Passano il tempo giocando, correndo e riposando. La nostra preoccupazione, al momento, è trovare al più presto il modo di impegnarli, partendo dalle notizie che avremo sulla scuola. Vogliamo capire cosa possiamo offrirgli».

L'istruzione è fondamentale per iniziare un percorso di integrazione sociale.
«Infatti alla mamma ho detto che faremo imparare l'italiano ai bambini. Sono piccoli, e questo è un vantaggio, perché impareranno subito la nostra lingua. Per i più grandi, invece, il discorso linguistico è un po' più complicato. Stiamo per ricevere in regalo dei libri da un giornalista della Rai, con i disegni e con i nomi dei bambini scritti in italiano, in modo tale che inizino subito a tradurre qualcosa dal loro alfabeto. Inoltre, noi siamo napoletani, e con i gesti ci facciamo capire ovunque».

Video

La comunità ucraina napoletana è molto estesa, e questo probabilmente favorirà l'integrazione linguistica. State sperimentando altre attività di ambientamento?
«Stiamo cercando di assegnare la cucina alle signore per farle cucinare a modo loro. La casa, del resto, la rassettano già. Questa è già casa loro. Vanno coinvolti: soffrono a non fare niente. Gli ho anche fatto vedere una macchina per cucire, mostrerò loro come si usa. Hanno anche iniziato a uscire, durante la giornata, ma per ora lo fanno in compagnia dei nostri amici».

Ospiterete altri rifugiati?
«Spero che arrivi ancora qualcuno, così la casa si riempirà di più».

Che impressione le hanno fatto i profughi ucraini finora? Le loro condizioni psicologiche, naturalmente, devono essere molto delicate.
«Poveretti. Questa è stata la prima cosa che ho pensato quando li ho visti arrivare. Soffrono. Forse fino a prima di arrivare qui non avevano ancora ricevuto un abbraccio. Li ho abbracciati uno a uno, anche le mamme. Alcuni hanno pianto, durante l'abbraccio. Hanno dato sfogo alla loro sofferenza. Per abitudine, io agisco in punta di piedi. Come nella canzone di Laura Pausini: Se, vuoi, se mi vuoi, sono qui».

© RIPRODUZIONE RISERVATA