«L’Ucraina è la nostra seconda casa, negli ultimi sette anni ci siamo andati parecchie volte io e mio marito per completare le pratiche di adozione dei nostri tre bimbi, non potevamo tirarci indietro». A parlare è Mariana, una giovane donna di Fuorigrotta protagonista col marito Francesco di una storia di solidarietà che accende una speranza nella tragedia infinita della guerra.
La coppia napoletana a proprie spese ha fatto arrivare dall’Ucraina una famiglia di nove persone in fuga dagli orrori del conflitto.
Tutto inizia sette anni fa: «Tramite il progetto Chernobyl - che prevede l’accoglienza di minori in situazioni di difficoltà - abbiamo iniziato ad ospitare in Italia tre bimbi ucraini: due sorelle, Yle e Anja, e un ragazzo, Misha» racconta Mariana.
Lei e il marito decidono di adottare tutti e tre i bambini ma l’iter si rivela lungo e difficile: «La burocrazia per queste cose è a dir poco complessa. Nei cinque anni successivi solo Yle è rimasta con noi in Italia con dei permessi speciali essendo lei nata con una lussazione congenita all’anca e ha avuto bisogno di continue cure mediche».
Poi finalmente nel marzo 2020 in piena pandemia Covid la coppia si reca in Ucraina per completare le pratiche: «Siamo partiti a gennaio e siamo rimasti lì per tre mesi.
A fine febbraio scoppia la guerra e tutto si complica giorno dopo giorno: «Quando abbiamo saputo dell’invasione russa è stato uno choc. Anja e Misha erano da poco ritornati in Ucraina e il nostro unico pensiero era fare di tutto per riportarli qui da noi» dice scossa Mariana.
I due ragazzi non vivono insieme. Anjia, che ha 13 anni, vive in una casa-famiglia insieme ad altri 9 ragazzi. Misha, da poco maggiorenne, vive presso la scuola che frequenta.
«Stavano a Storožynec nella regione sud-occidentale di Černivci a 34 chilometri di distanza dal confine con la Romania. Ci hanno raccontato che ogni notte le sirene suonavano e dovevano rifugiarsi negli scantinati. Misha invece al momento dell’invasione, in piena notte, ha dovuto lasciare la scuola perché era sotto attacco e l’edificio doveva essere riconvertito in un campo di accoglienza. Ha preso le sue cose ed è tornato dalla nonna nel suo paese di origine, un villaggio su una montagna a 100 chilometri da Leopoli».
La situazione diventa sempre più critica: «Io e mio marito eravamo sconvolti. Siamo stati sin da subito disposti a pagare a nostre spese il viaggio di tutta la casa-famiglia che ospitava la nostra Anja. Così abbiamo organizzato dall’Italia la loro fuga. In tutto sono partiti in undici: i gestori della casa-famiglia, marito e moglie, con tre bimbi di 7, 8 e 9 anni, due gemelli di 16 anni e una ragazza maggiorenne oltre ad Anja e due ragazzi di 18 e 20 anni che però non hanno lasciato passare perché in età per arruolarsi».
Il viaggio è stato un esodo: «Il problema è che ogni 10 chilometri ci sono posti di blocco. Per un tratto hanno viaggiato con le loro auto. Gli ultimi chilometri li hanno percorsi a piedi fino alla città rumena di Siret. Hanno viaggiato con lo stretto indispensabile, lasciando tutte le loro cose. Arrivati in Romania sono stati ospitati in una struttura ricettiva per i profughi. Un nostro contatto è andato a prenderli. Gli abbiamo pagato i biglietti aerei e i tamponi e così finalmente sono riusciti a giungere a Napoli».
Per loro e per la piccola Anja, che ha potuto ricongiungersi con la sorellina, c’è stato il lieto fine.
Lo stesso non si può dire per Misha: «Lui da maggiorenne non può attraversare il confine. Lo sentiamo tutti i giorni, si sente confuso e impaurito. I russi si stanno avvicinando. La gente del posto gira armata. Il cibo scarseggia, non c’è più il segnale televisivo e internet va e viene. Ogni notte le sirene suonano e con la nonna corre a rifugiarsi in uno scantinato. Lui vorrebbe che lei si mettesse in salvo, che lasciasse l’Ucraina, ma la nonna non vuole lasciare la sua casa, dice: sono nata e vissuta qua dove vuoi che vada, io muoio qua ma non me ne vado».
Mariana si commuove: «Vorrei solamente che Misha stesse qui con me al sicuro, lui è mio figlio e non desidero altro che abbracciarlo».