Una dieta per prevenire il diabete di tipo 2 messa a punto dal Cnr

Una dieta per prevenire il diabete di tipo 2 messa a punto dal Cnr
Martedì 12 Luglio 2022, 11:46 - Ultimo agg. 12:14
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Una dieta con basso indice glicemico potrebbe prevenire il diabete di tipo 2. È la tesi sostenuta nello studio Medgi-Carb, pubblicato su Nutrients, condotto da ricercatori dell’Istituto di scienze dell’alimentazione del Consiglio nazionale delle ricerche di Avellino (Cnr-Isa) in collaborazione con l’unità diabete, nutrizione e metabolismo dell’Università Federico II di Napoli e le Università di Purdue (Stati Uniti) e Chalmers (Svezia). Il gruppo di ricerca ha valutato come il profilo glicemico giornaliero di individui in sovrappeso, ma senza diabete, sia influenzato dal cibo. «Abbassare la glicemia dopo il pasto può essere una strategia efficace per ridurre l’incidenza del diabete; infatti, l’aumento della glicemia postprandiale rappresenta l’inizio del processo che porta allo sviluppo della malattia», afferma Rosalba Giacco, ricercatrice nell’Area di nutrizione umana e metabolismo presso il Cnr-Isa di Avellino e responsabile del progetto di ricerca.

Precedenti studi hanno dimostrato che alimenti ad alto indice glicemico - come il pane bianco, il riso, la polenta, la pizza e le patate - favoriscono l’aumento della glicemia. Pertanto, le persone con diabete devono ridurre il consumo di questi alimenti, preferendo non solo quelli ricchi in fibre, come legumi, frutta, verdura e cereali integrali, ma anche quelli con un basso indice glicemico, come la pasta, il riso parboiled, le piadine, anche se non è mai stato appurato se anche per le persone in sovrappeso, a rischio di sviluppare il diabete tipo 2, possano essere utili scelte alimentari che tengano conto dell’indice glicemico. «Sappiamo da precedenti ricerche che la dieta mediterranea riduce il rischio di diabete tipo 2», afferma Marilena Vitale, ricercatrice della Federico II e coautrice dello studio.

Hanno partecipato alla ricerca 160 persone in sovrappeso, a rischio di sviluppare il diabete, reclutate nei tre centri universitari in Italia, Svezia e Stati Uniti.

A loro è stata assegnata in modo casuale una dieta con alimenti a base di cereali con diverso indice glicemico per un periodo di tre mesi. «Per facilitare l’adesione alla dieta, i prodotti ad alto o a basso indice glicemico venivano forniti gratuitamente ai partecipanti allo studio e ai loro commensali abituali. Come avevamo ipotizzato, il profilo glicemico giornaliero, misurato mediante prelievi effettuati ogni ora prima e dopo la colazione e il pranzo fino al tardo pomeriggio, aumentava dopo tre mesi di dieta con gli alimenti ad alto indice glicemico mentre rimaneva inalterato in coloro che erano stati assegnati alla dieta a basso indice glicemico. La differenza più marcata tra i due gruppi si registrava per la risposta glicemica dopo il pranzo, che alla fine dell’esperimento era pressoché dimezzata nel gruppo con dieta a basso indice glicemico”», riferisce Giuseppina Costabile, ricercatrice dell’Università Federico II e coautrice dello studio.

Questo risultato è stato confermato dalla misurazione in continuo della glicemia in condizioni di vita normale, effettuata per tre giorni all’inizio e alla fine dello studio mediante un sensore impiantato sul braccio. «Grazie a questa metodologia innovativa abbiamo potuto documentare che frequenti e marcate oscillazioni della glicemia nell’arco delle 24 ore sono presenti anche in chi non ha il diabete e che esse possono essere notevolmente attutite con la dieta a basso indice glicemico. È noto che i picchi glicemici danneggiano la parete delle arterie e favoriscono lo sviluppo di arteriosclerosi», commenta Gabriele Riccardi della Federico II, coautore dello studio.

«I risultati ottenuti possono essere utili anche per valutare l’impatto della dieta su altri biomarcatori rilevanti per lo stato di salute. I numerosi dati raccolti in questo studio saranno utilizzati per comprendere meglio le interazioni tra la dieta, la flora batterica intestinale e il profilo dei metaboliti plasmatici, al fine di interpretare le differenze interpersonali nella risposta glicemica alla dieta, nella prospettiva di una nutrizione di precisione», conclude Giacco.

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