Tre napoletani scomparsi in Messico: una pista porta al boss El Mencho, capo di un cartello criminale spietato

Tre napoletani scomparsi in Messico: una pista porta al boss El Mencho, capo di un cartello criminale spietato
di Valentino Di Giacomo
Lunedì 26 Febbraio 2018, 08:24 - Ultimo agg. 15:51
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Dietro il rapimento dei tre napoletani ci sarebbe il cartello di Jalisco del boss soprannominato «el Mencho». Ciò che si cerca di appurare in queste ore, anche interrogando i quattro poliziotti arrestati, è il movente. Gli investigatori studiano ogni aspetto e soprattutto il dossier sul cartello, attivo dal 2010, che avrebbe in ostaggio i tre napoletani. 

Ciò che più temono ora gli investigatori italiani a lavoro sul caso dei tre napoletani scomparsi è che il cartello criminale «Nueva Generación» possa aver chiesto agli agenti di polizia arrestati la loro consegna come atto di ritorsione. Le indagini sono ancora in corso, ma se fosse accertata la pista che i tre napoletani abbiano venduto dei generatori elettrici di scarsa affidabilità ai pericolosi criminali, allora ci sarebbero ben poche speranze di ritrovarli vivi. 

Il cartello di Jalisco non opera secondo grandi strategie, il clan è formato perlopiù da criminali che ragionano secondo le logiche della truce violenza e delle azioni di guerriglia, non come le grandi strutture mafiose che conosciamo in Italia. E se non avere una struttura e strategie consolidate può essere un limite, in casi come questi può risultare anche un vantaggio per la banda perché non consente agli investigatori di prevedere le possibili mosse future. Le sensazioni di chi lavora al caso, almeno per il momento, non sono improntate all’ottimismo.
 
Gli spietati criminali messicani non perdonano e qualora abbiano subito uno «sgarro» dai nostri tre connazionali difficilmente sarebbero disponibili a qualsiasi genere di trattativa, ma il destino di Raffaele Russo, suo figlio Antonio e suo nipote Vincenzo potrebbe essere già segnato. Ovviamente si lavora e si spera con tutte le forze per assicurare alla vicenda il miglior esito possibile.

Il doppio binario. Sin da quando è scoppiato il caso, l’Italia lavora su un doppio binario: quello diplomatico affidato alla Farnesina con l’ambasciatore Luigi Maccotta che segue gli sviluppi della vicenda insieme alle controparti messicane, mentre dall’altro ci sono le indagini di polizia che sono affidate in prima battuta ad un ufficiale di collegamento del Servizio di cooperazione internazionale presente nell’ambasciata di Città del Messico, un militare della guardia di finanza che ben conosce le dinamiche criminali del territorio. Ogni progresso nell’inchiesta viene costantemente monitorato dalla sala operativa dello Scip a Roma che fa da raccordo operativo senza soluzione di continuità.

La vicenda dei tre connazionali spariti, anche per le conseguenze politiche che un episodio così eclatante può far scatenare, è seguita ora per ora direttamente dal Dipartimento di Pubblica Sicurezza e dal vice capo prefetto della polizia criminale, Nicolò D’Angelo. A causa del fuso orario le ultime notti sono state insonni per gli ufficiali che stanno lavorando al caso, anche la provenienza dei tre dispersi forse gioca un ruolo visto che a dirigere il Servizio di cooperazione internazionale c’è il napoletano Paolo D’Ambola e i compiti strettamente operativi sono affidati all’altro campano Emilio Russo. I risvolti giudiziari della vicenda sono seguiti invece dal pm di Roma, Sergio Colaiocco, che ha delegato a sua volta lo Sco e la squadra mobile per monitorare le indagini. Le autorità messicane hanno compreso la gravità del momento e stanno cercando di collaborare al massimo come dimostrato anche dall’arresto dei quattro poliziotti che a Roma viene letto come un segnale da parte del governo centroamericano. Ovviamente la sparizione dei tre connazionali apre una ferita anche sui rapporti bilaterali tra Messico e Italia che ha in attivo una bilancia commerciale superiore ai 5 miliardi di euro.

Il cartello di Jalisco. Ciò che si cerca di appurare in queste ore, anche interrogando i quattro poliziotti arrestati, è il movente del rapimento dei tre italiani. Gli investigatori studiano ogni aspetto e soprattutto il dossier sul cartello, attivo dal 2010, che avrebbe in ostaggio i tre napoletani. Il leader della banda è Nemesio Oseguera Cervantes, detto el Mencho. Il suo soprannome significa “persona qualunque e vestita male” e deriva dalla tendenza a tenere un basso profilo. Con Cervantes alla guida, negli ultimi anni, il cartello è cresciuto a livelli esponenziali tanto da essere attualmente ritenuto il gruppo criminale più potente del Messico e tra i più pericolosi nel mondo. Parte della sua pericolosità è attribuibile alla modalità di approccio e comportamento criminale diverso dagli altri cartelli messicani: i Jaliscos non trafficano cocaina e amfetamine solo verso gli Usa, ma puntano verso l’estremo oriente, Africa ed Europa. Nel dossier che esaminano gli inquirenti italiani è certificata la pericolosità di questi criminali soprattutto perché hanno a disposizione armi di ultima generazione che renderebbero ostico un raid anche qualora venisse individuato il luogo di detenzione dei tre napoletani. L’altro punto di forza della Nueva Generación è poi la grande liquidità di danaro perché non gestisce gli introiti illeciti solo attraverso le banche.

Per gli agenti italiani sono indagini complesse anche perché da un lato è riscontrata la disponibilità delle autorità messicane per risolvere la vicenda, ma dall’altro bisogna operare con forze di polizia che non di rado sono conniventi e sotto ricatto delle bande criminali come nella Colombia di «Narcos» ai tempi di Pablo Escobar. In questo dedalo è appesa ad un filo la vita dei tre napoletani scomparsi.
 

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