Inchiesta Pegaso, l'ira di Fimmanò: «Io, perquisito in pigiama e scalzo»

Inchiesta Pegaso, l'ira di Fimmanò: «Io, perquisito in pigiama e scalzo»
di Valentino Di Giacomo
Venerdì 26 Febbraio 2021, 11:00
4 Minuti di Lettura

«Sono stato perquisito in pigiama e a piedi scalzi». Una lettera indirizzata al presidente della Corte d'Appello Giuseppe de Carolis, alla presidente del Tribunale Elisabetta Garzo e al presidente dell'Ordine degli avvocati di Napoli Antonio Tafuri. Un lungo sfogo di oltre 20 pagine, ma anche una ricostruzione in punta di diritto degli errori procedurali che ritiene di aver subìto. L'avvocato Francesco Fimmanò, coinvolto nell'inchiesta diretta dal pm Henry John Woodcock sull'Università Pegaso, ha voluto chiarire tutto ai vertici del distretto della Corte d'Appello. Un'indagine che, come ricostruito negli ultimi giorni, non ha retto dinanzi al Tribunale del Riesame: giudicati infatti nulli i sequestri di carte, pc, tablet e smartphone rinvenuti durante le varie perquisizioni. Ma Fimmanò si è concentrato - nella sua missiva - soltanto sul suo caso personale, di quando lo scorso 2 febbraio lo stesso pm Woodcock con un pool di finanzieri era andato a perquisire l'abitazione di Frattamaggiore dell'avvocato.

LEGGI ANCHE Pegaso, il Riesame annulla il sequestro 

Nel testo Fimmanò ha ricostruito l'intera vicenda. «Sono stato svegliato - scrive ai tre presidenti - da due finanzieri che prendevano il mio cellulare sul comodino affermando che era sequestrato.

A piedi scalzi li ho subito seguiti al primo piano dove trovavo 13 persone ed il dottor Woodcock mi notificava gli atti». Le accuse alla Pegaso erano fondamentalmente di corruzione a proposito della complessa procedura amministrativa conseguita in pochi mesi: prima la trasformazione della Pegaso da Fondazione in società di capitali, poi un parere non negativo del Consiglio di Stato. E proprio i rapporti intercorsi in vari convegni scientifici da Fimmanò sono diventati - per l'accusa - un'onta anziché una dimostrazione dell'alto valore professionale dell'avvocato napoletano.

Nel fascicolo di accusa - ricorda Fimmanò nella sua lunga lettera indirizzata a De Carolis, Garzo e Tafuri - ci sono finiti i rapporti intrattenuti da due Consiglieri di Stato con l'Università Pegaso. I due Consiglieri - Claudio Zucchelli e Paolo Carpentieri - erano stati invitati ad un convegno dallo stesso Fimmanò che per Pegaso era il direttore scientifico. Consiglieri - ha precisato anche al Mattino, Fimmanò, mai realmente conosciuti. «Un invito - ha spiegato l'avvocato - inoltrato a decine di potenziali relatori, un anno e mezzo prima dell'adunanza del Consiglio di Stato» che doveva esprimere un parere anche sulla Pegaso. Di qui lo sfogo dell'avvocato: «Io sono membro di decine di comitati scientifici, convegni, corsi di alta formazione». Eppure, semplici rapporti formativi, sono diventati causa per un procedimento giudiziario. Rivolgendosi poi alla presidente Garzo e a De Carolis, Fimmanò ricorda i tanti convegni a cui hanno partecipato insieme e tutte le iniziative culturali poste in essere in tanti anni con tanti magistrati in tutta Italia. «Se a tutto ciò - spiega Fimmanò - potesse attribuirsi una qualche valenza indiziaria sarei potenzialmente passibile di ipotesi di migliaia di corruzioni, per questo rendo noto che ho rimesso il mio mandato di direttore scientifico Pegaso e della scuola di specializzazione». Non solo, ma Fimmanò rende pure noto che chiederà a tutti i magistrati con cui ha intrattenuto rapporti di astenersi dal giudizio nelle cause in cui è costituito come avvocato.

Un'ultima parte della lettera di Fimmanò riguarda il suo ruolo di avvocato di Danilo Iervolino, il presidente della Pegaso. Secondo Fimmanò - proprio perché era lui stesso il legale di Iervolino, coinvolto nell'inchiesta - non poteva essere destinatario di perquisizione. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA