L'utero in affitto del clan: condannati lui, lei e l'altra

L'utero in affitto del clan: condannati lui, lei e l'altra
di Leandro Del Gaudio
Mercoledì 30 Ottobre 2019, 09:00 - Ultimo agg. 12:56
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Sei anni ai due genitori, otto anni alla donna romena che mise al mondo il bimbo in cambio di diecimila euro. Utero in affitto, tre condanne, cala il sipario - almeno per il primo grado di giudizio - sul presunto traffico di bambini a Napoli est. Aula 717, gup Paola Piccirillo, passa la linea dell'accusa: sostituzione di persona e falso, al termine di una trama ricostruita grazie a verifiche biologiche, atti amministrativi, intercettazioni telefoniche e al racconto di alcuni collaboratori di giustizia.
Inchiesta condotta dalla Dda di Napoli, accertamenti svolti dal pm Antonella Fratello (magistrato in forza al pool coordinato dal procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli), riflettori su una pratica vietata in Italia, parliamo dell'utero in affitto. Ieri, si è chiuso il processo a carico dei tre imputati che hanno scelto il rito abbreviato, mentre si attendono le conclusioni del processo ordinario nei confronti del boss della camorra della periferia orientale, attualmente detenuto per fatti di sangue.

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Chiara la ricostruzione dell'accusa: stando agli atti, il boss avrebbe contribuito a trarre in inganno un dipendente del Comune di Napoli, facendo registrare negli elenchi municipali particolari e aspetti non veritieri sulla identità dei genitori del nascituro. Ma per quale motivo, un boss patentato della camorra napoletana avrebbe investito diecimila euro per realizzare un esperimento di utero in affitto. Si tratta di un punto controverso, sul quale è possibile che il braccio di ferro tra accusa e difesa vada avanti ancora in altri gradi di giudizio.

In sintesi, c'è una convinzione di fondo da parte degli inquirenti: il boss avrebbe donato in omaggio il neonato ad un suo affiliato, per rafforzare il proprio spessore criminale in un territorio martoriato da una lunga faida di camorra, dove le famiglie criminali si dividono in due cartelli poi ramificati anche in altri punti della città. Sarebbe stato un omaggio, un dono finalizzato ad accrescere il proprio spessore, anche se questa ricostruzione non viene del tutto condivisa dal giudice: difesi dal penalista Antonio Iavarone, i due genitori del bambino hanno negato l'esistenza di una trama camorristica finalizzata a garantire - anche attraverso la storia dell'utero in affitto - l'affermazione di un boss nel proprio quartiere.

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Resta una storia amara, quella che si è conclusa ieri mattina a porte chiuse, che Il Mattino ha deciso di raccontare senza fornire i nomi degli imputati, per evitare di turbare il minore in una fase tanto delicata della propria crescita. Una vicenda che riporta alle pagine peggiori di gomorra, dove un capoclan è in grado - secondo le carte della Dda - anche di assicurare una discendenza a una coppia di affiliati o di soggetti orbitanti nella cerchia del clan. Ed è in questi termini che viene letta la storia dell'utero in affitto, anche nelle tante intercettazioni, specie tra donne, in cui viene commentata la scelta del boss di finanziare la presunta donazione: diecimila euro, in cambio del neonato appena uscito dal ventre materno. E non si tratterebbe di un caso isolato. Per qualche anno residente nella zona delle case nuove, tra il Loreto Mare e la zona chiamata della Stella polare, la cittadina romena si sarebbe prestata anche ad altre gravidanze in affitto, al punto da spingere il gip Vertuccio a ragionare su un quadro decisamente allarmante. «Tutti gli elementi sopra rassegnati appaiono indici significativi dell'esistenza di un contesto criminale organizzato, avente ad oggetto un traffico illegale di bambini che, trovando avallo nelle dichiarazioni rese ai collaboratori di giustizia e da altre fonti investigative, appare suscettibile di un approfondimento investigativo che sicuramente è all'attenzione degli inquirenti».

E sono almeno quattro i casi riscontrati finora dalla Procura di Napoli, che ha ottenuto anche gli arresti della cittadina romena che si sarebbe prestata a fornire il proprio grembo in cambio di soldi. Per alcuni mesi si sarebbe sottratta alle ricerche delle forze dell'ordine, fornendo identità diverse a medici e funzionari comunali con cui di volta in volta è entrata in contatto, fino a quando poi è stata ammanettata per la storia del bimbo comprato dal boss.

E ora la parola a un collegio di giudici, che dovrà esprimersi sulla posizione del boss (che ha scelto il rito ordinario), presunto finanziatore dell'affare, anche per rispondere a una domanda di fondo: la camorra vende bambini per accrescere la propria potenza?

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