Flop turismo, lavoro fermo e il vescovo tuona: «Ischia muore»

Flop turismo, lavoro fermo e il vescovo tuona: «Ischia muore»
di Ciro Cenatiempo
Sabato 20 Giugno 2020, 10:00
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Finestre aperte sull'estate, e porte sbattute in faccia ai lavoratori dell'accoglienza. Il paradosso è pesante e, mentre l'isola si prepara a ricevere la mini invasione di almeno undicimila arrivi per il weekend, numeri «poveri» che confermano lo stallo del turismo, l'allarme sociale si fa largo in modo così prepotente che la Chiesa si muove per invocare una solidarietà strategica indispensabile, a favore di chi vive ore drammatiche.

Dopo le proteste degli stagionali ridotti sul lastrico, che sono scesi in piazza per rivendicare bonus e aiuti rimasti lettera morta, è il vescovo della diocesi ischitana, Pietro Lagnese, a far sentire la propria voce, al loro fianco. Lo fa con una prassi inedita, segno dei tempi di crisi, indirizzando una lettera aperta agli operatori del comparto cruciale dell'economia, l'industria dell'accoglienza. «Fratello imprenditore, sorella imprenditrice»: con tono familiare e accorato Lagnese si rivolge a un settore con tremila imprese commerciali e alberghiere, che ha un indotto di 14mila persone impegnate (il 22 per cento degli abitanti), e che sta affrontando la «fase 3», dopo il lockdown, tra annunci di chiusure e rinunce e, dunque, con un effetto domino in termini di mancata occupazione per i dipendenti, la colonna vertebrale dell'ospitalità.

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Camerieri, cuochi, manutentori, portieri di notte, collaboratori storici. In migliaia, sono rimasti a casa. «Fratello imprenditore, sorella imprenditrice - scrive monsignor Lagnese - siamo all'inizio di una stagione turistica tutta particolare e densa di incognite a causa della pandemia con la quale, benché usciti dalla fase più acuta, tuttora stiamo facendo i conti». Comincia così un appello che, non trascurando «la politica che in ogni caso deve fare la sua parte», e sulla quale bisogna vigilare, cita Papa Francesco: «Se si parla delle difficoltà delle imprese, legate alla crisi del Coronavirus, ci sono le difficoltà del dipendente, della dipendente, dell'operaio, dell'operaia. Occorre farsi carico di queste realtà». Lagnese scandisce il suo pensiero con parole chiave che risuonano come moniti etici e pratici, legandosi a un imperativo decisivo: «bisogna riaprire l'attività per senso di responsabilità, giustizia, riparazione, fiducia, saggezza, misericordia».

All'orizzonte ci sono almeno novemila lavoratori che non hanno beneficiato dei contributi economici elargiti dal governo Conte per l'emergenza coronavirus, a partire dal bonus di marzo: oltre ai 600 euro del decreto cosiddetto Cura Italia, non riceveranno neppure i 1.200 euro stanziati dalla regione Campania. In totale, 16 milioni di euro sottratti all'economia locale.

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Dall'altra, spicca la paralisi del mercato, l'impasse per l'incoming di ospiti dall'estero e la riduzione a poche settimane dei tempi di operatività, dati di fatto che per molte aziende costituiscono un muro invalicabile. È l'effetto «loop» sui nodi da sciogliere che somiglia a un cane che si morde la coda. Ha fatto scalpore la mancata riapertura dei Giardini Poesidon, il parco balneo-termale più famoso del mondo; di un albergo d'élite qual è Mezzatorre; la parziale chiusura, per lavori progettati da tempo del Miramare a Sant'Angelo, che ha però garantito la piena funzionalità del resort storico «Apollon» sul lido dei Maronti. Restano al palo, o quasi, strutture che hanno deciso di riaprire solo per un paio di mesi. Molteplici, i motivi. Lo scarso numero di voli dai paesi stranieri che garantiscono afflussi determinanti, come evidenzia Federalberghi. Mentre il cosiddetto «turismo interno», made in Italy, non offre continuità.
 


Lo scenario è ammorbidito da luoghi simbolo che hanno riacceso le luci: il mitico bar Calise di Piazza degli Eroi; un monumento-cartolina come il Castello Aragonese, silhouette nella quale si specchia un hotel a cinque stelle, il «Miramare e Castello», che ha ripreso da una settimana. I protocolli di sicurezza sono garantiti, e c'è uno spiraglio per il sorriso, in altre dimensioni a gestione familiare, anche tra i ristoranti.
Ma non basta a riportare serenità. «Sono davvero preoccupato per i lavoratori stagionali e ritengo che sia mio dovere intervenire sottolinea monsignor Lagnese - con chiarezza. Molti di loro corrono il rischio di rimanere con le tasche vuote. Sono realmente a rischio di fame. La nostra Caritas sta moltiplicando gli interventi in favore delle famiglie in difficoltà, e altrettanto fanno le parrocchie e le associazioni di volontariato. Tutto ciò non può bastare. È necessario fare di più, e vuol dire concretamente sostenerli. Non farlo porterebbe al collasso l'intera economia isolana con l'aumento esponenziale di un disagio sociale difficile da gestire».

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