Napoli, il dramma della vedova Materazzo: «Isolata dalla famiglia di mio marito»

Napoli, il dramma della vedova Materazzo: «Isolata dalla famiglia di mio marito»
di Leandro Del Gaudio
Venerdì 10 Maggio 2019, 00:00 - Ultimo agg. 08:43
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Ha pianto dopo la condanna all’ergastolo di Luca Materazzo. Ha pianto perché con quella sentenza è venuto meno ogni altro appiglio: è stato «zio Luca», punto. Eccola Elena Grande, moglie dell’ingegnere Vittorio Materazzo, ucciso il 28 novembre del 2016, madre di due bambini rimasti orfani, desiderosi di una vita normale e, soprattutto, lontano dai riflettori.

Due giorni fa, Roberta Materazzo (sua cognata) è intervenuta al Tgr, ricordando Luca come un ragazzo buono, dolce, che ha avuto il torto di distaccarsi dalla famiglia e di non farsi aiutare; sua cognata ha anche espresso amarezza perché i rapporti con lei sono «inesistenti», cosa risponde a questa riflessione? 
«Ho sempre sentito di mantenere un comportamento riservato durante tutto il corso di questa vicenda e continuerò a farlo, soprattutto per la serenità dei miei ragazzi che hanno il diritto di andare avanti e crescere serenamente, nonostante l’immane tragedia che ci ha colpito. Non ritengo di dover rispondere alla signora Roberta Materazzo, attraverso lo stesso mezzo di comunicazione da lei usato, parlo della tv, perché non intendo teatralizzare un dolore che è innanzitutto mio e dei miei ragazzi. Sento però il dovere di stigmatizzare la distorta rappresentazione dei caratteri dei due fratelli, mostrando l’assassino di mio marito meritevole di benevolenza, mentre Vittorio viene rappresentato come un violento, a dispetto di qualunque evidenza processuale e alla luce della condanna all’ergastolo inflitta a Luca Materazzo».
 
Chi era suo marito?
«Chi ha conosciuto e ha frequentato Vittorio può dire solo che era un uomo di carattere, deciso, corretto, onesto, responsabile, un professionista apprezzato da tutti, un amico sincero e leale, un padre di famiglia presente e amorevole. A tutelare la sua memoria ci sarò sempre io».

Chi le è stato più vicino in questi due anni?
«Fortunatamente gli amici miei e di Vittorio, mentre i rapporti con tutte le mie cognate sono inesistenti». 

Sua cognata si è mostrata dispiaciuta perché con lei i rapporti sono inesistenti.
«Credo che l’amore e l’affetto non vadano sbandierati in televisione, ma dimostrati con i fatti. Io ed i miei figli non abbiamo potuto contare sulla presenza al nostro fianco di una famiglia e siamo rimasti soli con il nostro dolore e le nostre difficoltà quotidiane. A tal proposito voglio rinnovare un doveroso ringraziamento al procuratore Nunzio Fragliasso e al pm Francesca De Renzis, ma anche ai miei avvocati Arturo ed Enrico Frojo, non solo per il lavoro svolto, ma anche e soprattutto per l’umanità dimostratami e per il sosteno morale che altrove mi è mancato». 

Cosa prova in questo momento?
«Il dolore per la morte di mio marito resta immutato. Io ed i ragazzi, uniche vittime di questo omicidio, sentiamo il bisogno di piangere Vittorio in silenzio e lontano dai riflettori, di elaborare il lutto e soprattutto di elaborare un dato di fatto: Vittorio è morto per mano del fratello Luca».

Come e quando ha comunicato ai suoi figli la notizia della condanna di Luca?
«L’ho fatto appena arrivata a casa, ho comunicato loro il verdetto. Ho detto: “Ergastolo” e ho spiegato loro cosa significasse. Poi abbiamo pianto tutti e tre, è stato difficile accettare che l’assassino di Vittorio è Luca, il loro zio (ovviamente siamo ancora al primo grado di giudizio, ndr)».

Come si è sentita dopo il verdetto, alla fine di una istruttoria così delicata?
«Sono uscita dall’aula e sono scoppiata in un pianto liberatorio ed il mio pensiero è andato al mio Vittorio.
Ma non ero sollevata, un grande senso di tristezza mi ha pervaso. Vede, fino a quando si è nel processo, si vive concentrati sulla storia delle udienze dei rinvii, dei verbali, eccetera. Dopo c’è il punto, c’è la condanna e la realtà dei fatti: Vittorio non è più con me e i miei figli sono destinati a crescere senza un padre». 

Come giudica la condanna all’ergastolo?
«È la condanna che la Corte ha ritenuto di dover infliggere. Una condanna proporzionata alla crudeltà del delitto commesso. Oggi abbiamo il nome dell’assassino (sempre in attesa di un probabile giudizio di appello, ndr), prima non c’era questa certezza».
 

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