«XVI K Nov in ulsit pro masumis esurit», ovvero «Il sedicesimo giorno prima delle calende di novembre, si abbandonava al cibo in modo smodato». Questa frase scritta in carboncino, con alcune lettere ricostruite perché non più leggibili, e rinvenuta nel 2018 durante gli scavi nell'area archeologica Regio V a Pompei in un ambiente di una casa che era in corso di ristrutturazione nel 79 d.C., è stata la spinta per procedere in uno studio multidisciplinare. I dubbi sulla catastrofica eruzione del Vesuvio, fino a oggi fissata tra il 24 e 25 agosto secondo la famosa lettera di Plinio il Giovane a Tacito, già erano tanti e si trascinavano in particolare dall'800 ma ora la scienza ha potuto fissare con certezza i sospetti degli archeologi. L'eruzione del 79 d.C. del Vesuvio è avvenuta sicuramente tra il 24 e 25 ottobre. Il colpaccio è di un team prevalentemente italiano, con supporto di francesi e inglesi. «The 79 CE eruption of Vesuvius: a lesson from the past and the need of a multidisciplinary approach for developments in volcanology» pubblicato sulla prestigiosa rivista Earth-Science Reviews, è stato condotto infatti dall'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia in collaborazione con Istituto di Geologia Ambientale e Geoingegneria del CNR, Centro Interdipartimentale per lo Studio degli Effetti del Cambiamento Climatico e Dipartimento di Scienze della Terra dell'Università di Pisa, Laboratoire Magmas et Volcans di Clermont-Ferrand e School of Engineering and Physical Sciences della Heriot-Watt University di Edimburgo.
Lo studio è sostanzialmente geologico-vulcanologico ma gli archeologi da almeno due secoli non erano convinti nella veridicità della lettera di Plinio il Giovane.
«L'eruzione del 79 d.C. ha offerto un'opportunità unica per fondere insieme tutti gli studi multidisciplinari, integrando dati storici, stratigrafici, sedimentologici, petrologici, geofisici, paleoclimatici e di modellazione dei processi magmatici ed eruttivi di uno degli eventi più famosi e devastanti che hanno interessato l'area vulcanica napoletana, e creare un quadro il più completo possibile dell'intera eruzione» scrivono gli autori coordinati da Mauro Antonio Di Vito, vulcanologo della sezione di Napoli (Osservatorio Vesuviano) dell'Ingv. I prodotti piroclastici emessi durante l'eruzione esplosiva del 79 d.C. sono distribuiti in tutto il Vesuvio, ma in particolare nelle parti meridionali e sudorientali del vulcano. Mentre i depositi di flussi piroclastici si trovano soprattutto tra Penisola Sorrentina e Piazza Municipio a Napoli, depositi di caduta piroclastici sono stati trovati in aree molto più distali: Calabria, Puglia, in carotaggi anche in Sicilia fino al largo della Grecia e Creta, e secondo uno studio del 2013, perfino in Groenlandia, facendo intuire l'impatto ambientale che ha avuto quella eruzione. «Comprendere un evento del passato è il nostro lavoro, poiché apre nuove prospettive per lo studio di eventi simili che potrebbero verificarsi un domani» conclude Domenico Doronzo, vulcanologo dell'Ingv. E la ricerca continua, in particolare sul comprendere l'impatto di questa eruzione sul clima del pianeta.