Via la protezione al vice di Cutolo
«Pentito ritenuto poco utile»

Via la protezione al vice di Cutolo «Pentito ritenuto poco utile»
di Leandro Del Gaudio
Domenica 5 Agosto 2018, 10:33 - Ultimo agg. 11:22
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Non è stato ritenuto utile. Non sembra aver fornito quel contributo di novità e di efficacia processuale che viene richiesto a chi decide di collaborare con la giustizia. Valutazione sofferta ma determinata, quella della Procura di Napoli nei confronti di un personaggio diventato leggendario nella storia del crimine organizzato: parliamo di Pasquale Scotti, ex braccio destro di Raffaele Cutolo, per trent’anni latitante in Brasile, prima degli arresti della squadra mobile di Napoli. 

Due anni e mezzo fa, Scotti aveva chiesto di collaborare con lo Stato, decidendo di pentirsi pochi mesi dopo il suo rientro in Italia. E a dicembre del 2016 - passati i canonici sei mesi offerti a chi decide di raccontare tutto alle istituzioni - era stata la Dda di Napoli ad accordare a Scotti un programma di protezione definitivo, con tanto di regime carcerario differenziato per ovvi motivi di sicurezza. 

Due anni dopo, e siamo alla cronaca di queste ultime settimane, la storia sembra essere cambiata. Tanto da spingere la Dda a scrivere alla commissione centrale del Ministero dell’Interno, l’organo che sovrintende alla gestione dei collaboratori di giustizia, per ottenere la revoca del programma di protezione. Chiaro il ragionamento della Procura partenopea, alla luce di una serie di verifiche condotte in questi due anni, in relazione al materiale di conoscenze offerte da Scotti al tavolo delle indagini: nulla di particolarmente utile, nulla di decisivo per portare avanti processi a carico di soggetti attualmente in vita; per svelare retroscena di fatti legati a crimini passati o per chiudere i conti con capitali mafiosi sparsi per il mondo. Insomma, chi si aspettava una svolta significativa nel corso di indagini vecchie e nuove - visto anche il peso criminale dell’ex uomo di fiducia di Raffaele Cutolo, ai tempi della Nco - è rimasto deluso. 

 
LA LETTERA
Ed è toccato proprio agli inquirenti napoletani assumere una posizione all’insegna della coerenza e del pragmatismo, una scelta più unica che rara nel variegato panorama del pentitismo nazionale, dove raramente si è rifiutato di concedere un programma di protezione a un mafioso di spicco: non si ritiene utile portare avanti il rapporto di collaborazione con Scotti, alla luce di esigenze puramente processuali. Stando a quanto trapelato finora, dal carteggio sull’asse Napoli-Roma, la decisione della Procura partenopea non va ricondotta a una sconfessione sul piano personale, ma si tratterebbe di un’analisi tecnica del suo potenziale contributo in materia di indagini da portare a dibattimento.
IL RICORSO
Una valutazione frutto delle verifiche condotte dal pm anticamorra Ida Teresi, magistrato in forza al pool della Dda guidato dall’aggiunto Giuseppe Borrelli, nei confronti della quale Scotti potrà comunque giocare le sue carte. Tramite il suo legale, l’ex tenutissimo braccio destro di Cutolo potrà comunque rivolgersi al Tar, con un ricorso finalizzato ad ottenere, sul piano puramente amministrativo, il mantenimento del suo status. Al momento va considerato come un dichiarante, un detenuto in regime differenziato, ben altra cosa rispetto a quanto si poteva immaginare al debutto della sua collaborazione con la giustizia. 
Un tempo conosciuto come Pasqualino ’o collier (per un regalo fatto alla moglie di Raffaele Cutolo), ma anche come «l’ingegnere», Scotti ha vissuto in Brasile la sua seconda vita. Dal 1984 fino al 2015, trentuno anni con le vesti del tranquillo uomo d’affari, sotto il falso nome di Francisco De Castro Visconti, prima che gli uomini di via Medina lo stanassero nella sua dimora di Recife. 
Un imprenditore impegnato nel campo della ristorazione, sposato e padre di due figli, un uomo dal basso profilo sempre rispettoso della legge e - almeno apparentemente - lontano dalla camorra e dagli interessi criminali della sua Casoria. Stanato ed estradato in Italia, decise di collaborare con la giustizia. In Italia era stato condannato all’ergastolo per due omicidi, ma il suo ruolo nella trama nera dei delitti che hanno insanguinato l’Italia all’inizio degli anni Ottanta era stato sempre ritenuto decisivo. 
I MISTERI
Tanto che il suo nome è stato accostato al delitto del capo della Mobile Antonio Ammaturo (e del suo agente Pasquale Paola), il 15 luglio del 1982, ma anche alla trattativa tra la camorra, le brigate rosse e lo Stato per la liberazione dell’assessore regionale Ciro Cirillo, dopo un riscatto versato alle stesse br. Trame nere, misteri della prima repubblica destinati a rimanere tali e che comunque non verranno svelati grazie al contributo di un ex boss retrocesso al ruolo di dichiarante. 
Interrogato su questi ed altri punti, il racconto dell’ex uomo d’affari brasiliano non è risultato ficcante, tanto che - su alcune circostanze - la Dda di Napoli ha ritenuto necessario interrogare lo stesso Raffale Cutolo, creando una singolare possibilità di confronto a distanza: boss e vice, esistenze ormai lontane, due personaggi sentiti in celle differenti, chiamati a colmare vuoti destinati a rimanere ancora troppo profondi. 
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