«Sono proprietario di quella villa per una quota minima, i 999 millesimi sono di mio padre». Imprenditore e appassionato di politica, Silvio Sarno, è l'erede di Nicola Sarno, l'avellinese fondatore dell'impero basato sullo sfruttamento delle cave, che soggiorna da anni ormai a Ischia. «Non so bene come siano andate le cose, di certo troppa pubblicità non paga», si limita a dire. In realtà la contesa tra gli eredi della famiglia di diplomatici von Stohrer e un imprenditore irpino su presunti abusi in un angolo di paradiso come le terme di Castiglione, non passa inosservata. «Si tratta di un provvedimento abnorme, vado in procura a farmi sentire», dice l'avvocato della famiglia, l'amministrativista Pasquale Coppola. «Assurdo che si arrivi a trattenere a lungo in commissariato a Ischia un tecnico della famiglia che era andato ad effettuare delle verifiche sull'edificio». L'avvocato spiega: «Magari in un luogo così delicato sul piano ambientale, delle difformità ci saranno. Ma sono di quelle che si sanano in via amministrativa, dopo un sopralluogo e un verbale dei vigili urbani». Il sequestro no, insomma. «C'è una contesa con i vicini, vada a vedere chi sono i proprietari dell'hotel che confina con la proprietà dei Sarno», dice l'avvocato. Una lunga querelle su piscine e locale di servizio, insomma, avrebbe scatenato l'indagine a seguito delle scaramucce tra la famiglia che ospitava Coco Chanel e Amintore Fanfani e l'imprenditore amico di De Mita con il figlio a lungo militante Pd.
«Il sequestro arriva dopo un lunghissimo periodo, addirittura antecedente al terremoto, durante il quale non sono stati commessi illeciti edilizi di qualunque tipo a Casamicciola. I professionisti del mattone selvaggio erano fermi oramai da più di un anno e questo grazie anche alle efficaci misure di controllo e prevenzione messe in atto a tutti i livelli dalle forze dell'ordine», commenta irritato la vicenda il sindaco di Casamicciola, Giovan Battista Castagna. «Evidentemente c'è qualcuno che spera ancora di farla franca, sentendosi evidentemente con le spalle assai forti e coperte. Leggendo le carte del sequestro di oggi però devo dire che gli interessati hanno operato in maniera assolutamente sprovveduta, più che sfacciata. Bisogna essere davvero degli sprovveduti per compiere abusi su suolo demaniale e quindi dello Stato, dove non solo i controlli sono maggiori ma anche le sanzioni e le conseguenze giudiziarie sono più pesanti, in un periodo della storia isolana contrassegnata fra l'altro dalle pesanti conseguenze che ci portiamo dietro dal 21 agosto scorso e che ancora giacciono irrisolte. Basti pensare alla ricostruzione, per la quale non c'è ancora alcun segnale. Così come non si è mosso nulla per definirne le modalità».
Il sequestro della villa fa clamore. Nicola Sarno, oggi ottantenne, da sempre nell'industria dell'estrazione di materiali lapidei, settore in cui anche il padre era impegnato, è un imprenditore notissimo. Democristiano di fede basista, balza alle cronache nel 2001 quando rischia di essere rapito sul Malepasso, un'impervia strada, come dice il nome, che conduce alla cava di famiglia, in Alta Irpinia. All'epoca era vicepresidente di Confindustria Avellino. Allora Sarno si rifugiò nella sua villa di Ischia, finita oggi nelle cronache. Silvio, il figlio, è un imprenditore di sinistra, che ha militato nel Pd passando per l'esperienza di 360 di Enrico Letta e entrando nell'assemblea nazionale del partito in quota Cuperlo. «Ma delle cene a pagamento con Renzi non sono mai stato un habitué», ricorda. Ad Avellino non ha mai mancato di sostenere il partito, da ultimo, in vista delle elezioni nel capoluogo irpino, si è detto interessato a progetti civici, senza tuttavia scendere in campo di persona.
Sarno, dunque, un pensierino e qualcosa di più alla politica l'ha fatto. Ha pensato bene di impegnarsi prima nell'associazionismo di categoria all'unione industriali di Avellino, per poi passare all'impegno diretto nella politica militante. Nel 2004, ad appena trent'anni, era già presidente di Confindustria (carica che tiene per due mandati). Quindi è andato a presiedere l'Atecap (Associazione calcestruzzo preconfezionato). Da amico di D'Alema si era impegnato nelle campagne elettorali per «baffino» rifiutando però di candidarsi a sindaco di Avellino. Affidò poi a Samuele Ciambriello la direzione di Link, un mensile di approfondimento politico durato un paio di anni. Ma il suo impegno è dare un cotè culturale ed engagèe alla sua presenza in città. Occuparsi di calcestruzzi e cave non gli ha impedito, ad esempio, di rifare a proprie spese un «giardino degli odori» nel monumentale ex carcere borbonico al centro città, danneggiato da una nevicata; oppure di premiare gli autori di un documentario sull'Oasi del Wwf a Conza in Alta Irpinia in un concorso indetto dalla Soprintendenza ai beni ambientali. E quando si è trattato di difendere il business, non si è risparmiato. Di recente i suoi competitor nel settore delle cave in Irpinia gli avevano contestato le autorizzazioni ad estrarre. Ricorrendo al Tar avevano ottenuto la sospensione delle attività. Nel frattempo erano stati i sindacati a mobilitarsi, ritenendo che quel provvedimento amministrativo fosse eccessivo e portando in piazza qualche centinaio di lavoratori. Era finita che il Consiglio di Stato aveva dato ragione all'imprenditore irpino e i sindacati avevano esultato: «Giustizia è fatta». Sarno, a ruota, ritirò 35 licenziamenti.
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