Vincenzo Liguori ammazzato dieci anni fa, ancora nessun colpevole: «Adesso giustizia»

Vincenzo Liguori ammazzato dieci anni fa, ancora nessun colpevole: «Adesso giustizia»
di Leandro Del Gaudio
Mercoledì 13 Gennaio 2021, 11:05 - Ultimo agg. 11:45
5 Minuti di Lettura

Non sono bastati dieci anni a chiudere il caso. Non sono bastati dieci anni neppure a tenere aperto il caso, magari in vista di un processo da celebrare dinanzi a una corte di assise. Un tempo infinito, dieci anni, rimasto sospeso nel vuoto: dieci anni fa veniva ucciso per errore un meccanico che come ogni giorno aveva onorato la propria dignità di persona onesta all'interno della sua officina, con una tuta che portava i segni di un lavoro onesto. Si chiamava Vincenzo Liguori, aveva 57 anni e il 13 gennaio del 2011 fu ucciso per errore nel corso di un regolamento di conti tra bande rivali per la gestione di droga e racket a San Giorgio a Cremano. Lì, nel comune vesuviano, Vincenzo Liguori aveva scelto di lavorare, di impegnarsi in un progetto di vita onesta per dare forma a una famiglia. Dieci anni dopo, il nulla. Chiuso con l'assoluzione degli imputati principali, non ci sono tracce di inchieste in grado di dare un nome a chi ha trasformato il comune vesuviano in un teatro di morte. Dignitosa ma ferma la denuncia della moglie di Vincenzo Liguori, che ricorda il senso di vuoto vissuto da quel momento, che nessun provvedimento giudiziario potrà colmare, al netto di una richiesta di giustizia che deve essere comunque scandita ora come allora. 

Scrive Teresa Liguori, moglie del meccanico ucciso per errore: «Dieci anni dopo il giorno in cui la nostra vita è cambiata per sempre, siamo ancora in attesa di una verità giudiziaria che punisca i responsabili della morte di un padre amorevole, di un marito insostituibile e di un lavoratore esemplare.

Dopo le sentenze di assoluzione, abbiamo atteso giorni, settimane, mesi, fiduciosi che chi di dovere avrebbe infine fatto luce su quel maledetto pomeriggio, individuando e punendo i responsabili della morte di mio marito. Invece, dieci anni dopo, questo non è avvenuto. Nessun magistrato potrà ridarci mio marito e restituirci l'infinito amore che aveva per me e per i miei figli e nessuna sentenza potrà restituirci una vita normale, senza quel dolore che ogni giorno è acuto come il primo giorno. Tuttavia, la giustizia, se facesse il suo corso, potrebbe ridarci un minimo di serenità».

 

Ma cosa accadde dieci anni fa? E qual è la storia dell'inchiesta che non ha consentito di svelare i nomi di killer e mandanti? Torniamo in quel maledetto pomeriggio. C'è un retroscena drammatico, nella tragedia di un uomo ucciso per errore, mentre è lì al lavoro nella sua officina meccanica. Vincenzo è il padre di Mary Liguori, collega di cronaca nera e giudiziaria de Il Mattino, sempre in prima linea a raccontare fatti e drammi che si accaniscono sul nostro territorio. Fece il «giro di nera», quella sera. E furono le sue fonti classiche a comprendere il dramma che era toccato alla cronista napoletana e alla sua famiglia. E anche la cronista ci mise un attimo a capire, quando lesse che il nome della strada in cui era stato consumato il delitto corrispondeva al luogo dove lavorava il padre. Ma cosa era accaduto quel giorno? Rimaniamo a quanto emerso dalle indagini culminate in una serie di ergastoli in primo grado, nell'assoluzione in appello, poi confermata in Cassazione. Ci fu un agguato contro Luigi Formicola, ucciso mentre usciva da un circoletto ricreativo, nella stessa piazza che ospitava l'officina di Vincenzo Liguori. Solito canovaccio, visto troppe volte nell'area vesuviana. C'era una spaccatura in seno al clan egemone - gli Abate - l'obiettivo era colpire Formicola. Arrivarono in moto, fecero fuoco, venne ammazzato Formicola, ma un proiettile stroncò la vita dell'imprenditore. Colpito per errore, vittima innocente, per usare l'espressione ministeriale. Dopo qualche mese le indagini fecero leva sulla confessione del sedicente «specchiettista», l'uomo che si accusò di aver avvisato i killer in merito alla presenza di Formicola, al target designato. Ci furono inchieste e arresti, sempre e comunque legate al ruolo dei presunti emergenti del clan Abate. Una ricostruzione segnata dalle accuse (e in parte dalla confessione) del pentito Giovanni Gallo, noto alle forze dell'ordine per il suo passato di pusher. Un'inchiesta ad ostacoli, segnata - scrivevano nel 2016 i giudici della quarta assise appello - da una serie di divergenze. Contraddizioni tra il narrato del pusher e il contenuto di alcune intercettazioni. Nodi mai sciolti, irrisolti, che non sono bastati a chiudere il caso a carico di soggetti del calibro di Vincenzo Troia, Andrea e Giuseppe Attanasio. Tutti assolti in modo definitivo, al termine di un cammino processuale che ritorna su se stesso. Dieci anni dopo il tempo si riannoda, come se fosse rimasto fermo a quegli attimi che hanno demolito il senso di normalità di un intero nucleo familiare. Nulla ci restituisce la vita di Vincenzo - scrive oggi la vedova del meccanico ucciso, sostenuta dall'amore di Mary e degli altri due figli -, ma la giustizia «se facesse il suo corso, potrebbe ridarci un minimo di serenità».

© RIPRODUZIONE RISERVATA