Violenza sulle donne a Napoli, Picariello: «Noi al fianco delle donne in lotta con la burocrazia»

Violenza sulle donne a Napoli, Picariello: «Noi al fianco delle donne in lotta con la burocrazia»
di Marilicia Salvia
Giovedì 10 Febbraio 2022, 10:08
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A un certo punto i soldi finiscono. Non accade da un giorno all'altro, l'allarme scatta sempre in tempo. Ma la burocrazia è più forte. Più forte dei drammi, dell'importanza di interventi senza i quali chi ne ha bisogno può andare a fondo, definitivamente. Ma non più forte della cura, della passione di chi nel suo lavoro ci mette l'anima. Fino al punto di decidersi a svolgerlo a titolo gratuito. A trasformarlo in attività di volontariato.

«Ora le cose vanno meglio, il Comune di Pozzuoli ci ha messo a disposizione delle risorse proprie, recuperate negli avanzi di bilancio, e poi ci è stato finanziato un progetto, si chiama Svolte, destinato al reinserimento lavorativo delle donne che abbiamo in carico. Ma c'è tanto, tantissimo da fare»: Melania Picariello è una delle operatrici del Centro antiviolenza dell'ambito M12, che comprende Pozzuoli, Monte di Procida e Bacoli. Con la responsabile Carla Capaldo e altri angeli di donne picchiate, violentate, maltrattate, ha contribuito a tenere aperto lo Sportello Spazio Donna a Monterusciello anche quando sembrava tutto finito, quando in cassa non c'era una lira. «Ma non abbiamo fatto niente di speciale, è giusto così», si schermisce.

Giusto no, però necessario. Altri Cav, nelle stesse condizioni, hanno sbaraccato.
«Sì, in altri centri della regione e anche a Napoli.

E questo è molto grave: se non afferiscono a un Cav, per dirne una, le donne non possono incassare il reddito di libertà, 400 euro al mese versati dallo Stato per incoraggiarle a ripartire. Nè possono ottenere il sostegno economico della Regione, un assegno dai tre agli ottomila euro per progetti di inserimento lavorativo. Il punto è che la continuità è fondamentale: nell'aiuto immediato, in quello a medio termine e anche nella prevenzione».

È per questo che lei e le sue colleghe tenete il telefonino acceso giorno e notte?
«La violenza non ha orari, le forze dell'ordine devono poter contare su di noi in qualsiasi momento. E anche le nostre donne, spesso sole ad affrontare problemi».

E come può succedere che un servizio così importante non riceva il flusso di finanziamenti necessario?
«È burocrazia. Noi nel 2016 come associazione di imprese Cora-Eurosoft-Cisl abbiamo vinto un bando della Regione per la gestione del Cav, 80mila euro per un triennio. Nel 2019 ci sono state accordate due proroghe, all'incirca per 20mila. Poi è arrivato il Covid, le elezioni, tutto si è fermato. Nuove gare non ne sono state bandite, a quanto ne so neanche la programmazione per la formazione è ancora partita. Ma noi non ci potevamo fermare».

E avete cominciato a lavorare gratis.
«Sì ma il Comune ci ha sostenuto, pagando per esempio le assicurazioni e lasciandoci la sede. E da qualche mese anche un po' di soldi. Non potevamo lasciare sole queste donne. Dal 2016 ne abbiamo intercettate 300, un numero enorme».

Sono giovani o adulte? Sono più o meno scolarizzate?
«Hanno dai 15 ai 60 anni, sono povere e ricche, ignoranti e laureate. In comune hanno la totale disistima di se stesse. Anche le professioniste, le donne in carriera: se subiscono violenza dal compagno diventano insicure, si colpevolizzano».

E allo Sportello cosa trovano?
«Sostegno psicologico per loro e per eventuali figli minori, tutela penale e civile, e un aiuto all'inserimento lavorativo, che garantisca loro l'autonomia necessaria per rifarsi una vita. Ma prima devono aver denunciato il maltrattante».

È un modello che funziona?
«In molti casi sì. L'esperienza dei Cav, che come centri pubblici sono la risposta istituzionale al fenomeno della violenza sulle donne, comincia ad essere positiva nel Paese. Ma serve che la rete fra ospedali, forze dell'ordine, associazioni sia ben stretta. E servono più case-rifugio per quelle che non sanno dove andare».

Che cos'è il progetto Svolte?
«Serve a dare a queste donne le competenze che non avevano, a far scoprire loro interessi e attitudini che neanche sospettavano di avere. L'orientamento al lavoro, la formazione, i campi di cui io mi interesso più direttamente, possono dare appunto una svolta a queste esistenze svuotate».

Lo ha già visto succedere?
«Sì, abbiamo signore diventate piccole imprenditrici, ma non è solo quello. Le vediamo acquisire sicurezza, migliorare il rapporto con i figli. Ed è stato molto bello vedere il clima che si è creato grazie a un laboratorio di informatica al quale hanno partecipato anche donne estranee all'esperienza della violenza. C'è stato uno scambio di emozioni coinvolgente».

Perché le donne continuano a tacere, fino a farsi ammazzare?
«Perché restano amorevoli contro ogni logica. Finché ci concentreremo solo sui femminicidi non risolveremo il problema, che è culturale e va sradicato con l'aiuto di tutti e ovunque, nelle parrocchie, nei centri sportivi, a scuola. In questi anni siamo state in molte scuole: i presidi vogliono avere strumenti utili a far emergere possibili drammi nascosti, ma anche atteggiamenti mentali potenzialmente forieri di violenza. Quel modello del maschio-padrone che spaventosamente ancora resiste».
 

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