La fragilità della donna non assolve dalla violenza

di Adolfo Scotto di Luzio
Domenica 7 Aprile 2019, 09:00
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Ha ragione l'onorevole Mara Carfagna che, facendo sentire la sua voce a proposito dello stupro di San Giorgio a Cremano, ha dichiarato di sperare che eventuali fragilità di una giovane donna che ha denunciato di essere stata vittima di violenza sessuale vengano considerate aggravanti e non attenuanti per i suoi presunti aggressori. La prevedibile scarcerazione del terzo dei tre fermati della Circumvesuviana ha drasticamente spostato l'attenzione dell'opinione pubblica da ciò che è accaduto all'attendibilità della presunta vittima.

Senza, evidentemente poter cancellare il fatto si è aperta una disputa intorno alla sua definizione. Dal punto di vista processuale, non è una questione secondaria per gli imputati. E nemmeno per la vittima a dirla tutta, che in queste ore, come è sempre accaduto in vicende giudiziarie del genere, deve affrontare contemporaneamente due processi, quello che la oppone ai suoi aggressori e quello contro lo scetticismo dell'opinione pubblica. Il tribunale del Riesame ha disposto una perizia psichiatrica per avere, si legge dai giornali, «elementi scientifici adeguati» sulla base dei quali valutare le possibili interazioni «tra psicopatie fin da subito emerse e la vicenda narrata».

È abbastanza singolare che in questo quadro i giudici che hanno mandato in libertà i tre accusati concentrino sulla donna tutte le esigenze giudiziarie di libero acconsentimento. Da un lato, si insiste nel dire che non solo non ci sono evidenze di forzatura della sua volontà da parte dei suoi presunti aggressori ma che la giovane donna si sarebbe mossa spontaneamente in direzione del luogo della presunta violenza e, aggiungono i magistrati, non certo per parlare.

Dall’altro, si chiede un accertamento medico-psichiatrico per capire se la giovane donna, con turbe della sfera affettivo sessuale, non abbia, diciamo così, alterato a fatti avvenuti la loro natura, convincendosi di una violenza che in realtà non sarebbe stata perpetrata. Ora, io non ho nessuna competenza né sul piano giuridico né, tantomeno, psichiatrico. È anche evidente che un imputato ha diritto di fare tutto quello che il sistema giudiziario e la legge gli consentono per attenuare la sua posizione all’interno del processo e per difendere la propria innocenza. Non è di questo che si sta discutendo. Ma ci sono due questioni che non si possono ignorare in questa vicenda. La prima è come si concilia un eventuale quadro psichiatrico e la libera espressione della volontà del soggetto? La seconda è invece la seguente e cioè, che ne è della libera volontà degli imputati? Loro più che altri avevano la possibilità di scegliere. 

Sarebbe interessante sapere sulla base di quali valutazioni morali abbiano deciso. E per i giudici e per l’opinione pubblica non è questione di poco conto. Immagino che ci siano molte gradazioni della capacità di intendere e di volere. Che un individuo, entro certi limiti, è ancora in grado di dire sì e no. E tuttavia, ci sono anche infinite gradazioni della capacità manipolativa, tanto dall’una che dall’altra parte. La vittima, in cerca di attenzioni, può aver ingigantito o travisato la realtà. Ma una persona in queste condizioni è ancora in grado di avere un rapporto sessuale come espressione del suo libero assentimento all’altro? Dall’altra parte, qual è il limite della responsabilità di chi propone un rapporto sessuale ad una persona così fragile? Per non averla fisicamente costretta, per non aver esercitato su di lei nessuna azione che le abbia provocato ferite corporee, si può dire che questo sia sufficiente per escludere la violenza?

La sopraffazione poggia sull’asimmetria, sulla disparità della forza fisica e della coscienza. Chiunque si trovi in una posizione di inferiorità, per ragioni di forza o psicologica, non è in grado di agire liberamente, perché un presupposto fondamentale della libertà è l’integrità della sfera coscienziale soggettiva. Ci vuole un Io che sia pienamente padrone di sé e di sé possa liberamente disporre per poter dire che l’individuo ha aderito liberamente, come pare abbiano scritto i giudici del Riesame, all’invito o alla proposta di chicchessia. Solo il processo potrà chiarire le reciproche responsabilità e dire se i tre giovani di Portici sono colpevoli. 

Ma c’è un’altra questione che non appartiene esclusivamente al dominio del giudiziario e riguarda la sfera sentimentale, la nostra educazione sentimentale. Che idea abbiamo infatti del sesso e del piacere sessuale e della libera espressione della soggettività che ne è la base se, in una questione di tale rilevanza, l’oggetto principale della contesa diventa il significato da attribuire ad una mano sulla spalla, se sta a significare intesa o costrizione? Non ci basta la desolazione della scena per capire che nella stazione Circum di San Giorgio a Cremano quel giorno niente era al suo posto e non solo la mano sulla spalla della donna?
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