Volontario Onu morto in Colombia: «Una lite coi colleghi e l'accusa di fare la spia»

Volontario Onu morto in Colombia: «Una lite coi colleghi e l'accusa di fare la spia»
di Maria Pirro
Giovedì 23 Luglio 2020, 08:30 - Ultimo agg. 20:45
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C'è una nuova testimonianza nella ricerca della verità per Carmine Mario Paciolla, il 33enne napoletano e volontario Onu trovato morto in Colombia.  A farsi avanti è una giornalista, Claudia Julieta Duque, che ha messo nero su bianco la sua opinione, ieri eccezionalmente pubblicata on line su El Espectador, il giornale di Marquez. Le sue affermazioni sono forti, escludono «la tesi del suicidio per depressione e solitudine» e al momento restano prive di riscontri, visto che è atteso l'esito dell'autopsia e, interpellata dal Mattino, l'autrice del testo non ha voluto aggiungere ulteriori dettagli e chiarire in quali circostanze ha acquisito alcune informazioni. Ma quelle dichiarazioni le ha lette già l'avvocato della famiglia del giovane, Alessandra Ballerini, che preferisce non commentare. E le ha esaminate l'ex sottosegretario Gennaro Migliore, esperto di questioni legate all'America Latina e, assieme al deputato Paolo Siani e altri 25 parlamentari, impegnato a seguire il caso, sollecitando verifiche ulteriori da parte del ministro degli Esteri e del ministro della Giustizia. «I contorni della vicenda - afferma Migliore - non sono ancora chiari, ma è importante andare fino in fondo per arrivare alla verità, come chiesto anche con l'interpellanza urgente». E aggiunge: «Spero che la testimonianza pubblicata su El Espectador venga acquisita al più presto dalle autorità giudiziarie italiane». Ecco i punti principali, che riguardano anche i compagni di lavoro della Missione Onu: nessuno sotto accusa o indagato, è importante precisare subito, ma che nei prossimi passaggi potranno chiarire la loro posizione.

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«Non erano passate 24 ore dalla consegna a New York dell'ultimo documento della Missione di verifica delle Nazioni Unite in Colombia quando le tue compagne di lavoro ti hanno trovato morto nella casa tua a San Vicente del Caguán». Questo l'incipit del testo firmato da Claudia Julieta Duque, che aggiunge: «Quel documento avrebbe dovuto raccogliere i risultati del tuo lavoro come volontario per l'organizzazione nel dipartimento di Caquetá, ma, come è successo con la tua morte, le Nazioni Unite tacciono». Proprio questo silenzio, sostiene, la spinge a scrivere.

Lei non crede alla tesi del suicidio, innanzitutto in quanto sua amica. «Non è plausibile per noi che conoscevamo la tua vitalità, il tuo sorriso e anche le tue critiche alla Missione». La giornalista cita diversi episodi e aneddoti per spiegare che il suo amico aveva già pianificato anche a chi rivolgersi nel caso in cui gli fosse capito un incidente o si fosse ammalato.
 

 

Tra le righe, Claudia Julieta Duque aggiunge un dettaglio non noto e pone questo interrogativo: «Settimane fa avevi assicurato  il lucchetto che proteggeva la grata del tetto del piccolo edificio in cui vivevi come prevenzione nel caso in cui qualcuno venisse per te. È lì dove ti hanno trovato?». Un interrogativo destinato a cadere nel vuoto: «Non lo saprò, almeno per ora, perché non ti ho mai fatto visita, né a San Vicente né a Napoli, come concordato». Con una promessa che risale al 2018, quando Mario aveva lasciato la Peace Brigades International e lei viaggiato in Olanda «per prendere un respiro di fronte a una nuova valanga di minacce», scrive.

Poi rivela qualche dato in più sul progetto umanitario con l'obiettivo di facilitare il percorso di riconciliazione tra il governo colombiano e le Forze Armate Rivoluzionarie Colombiane (Farc). «Anche se il tuo contratto con la missione scadeva il 20 agosto, qualcosa è successo il 10 luglio», sostiene, rivolgendosi a Mario direttamente: «Quel giorno hai avuto una forte discussione con i tuoi capi, come hai raccontato l'indomani ad Anna Motta, tua madre, mentre hai annunciato di aver anticipato il tuo viaggio». Mercoledì 15, stando alla sua ricostruzione, il giovane laureato all'Orientale avrebbe dovuto raggiungere Bogotà per iniziare il viaggio. E invece, l'ultima connessione su WhatsApp personale è del 14 luglio alle 10:45 di notte. Da allora fino a quando il tuo corpo non è stato trovato la mattina successiva da un'altra ex brigadista e volontaria della Missione, resta un enigma». Lei spiega di aver sentito la ragazza il 16, per darle le condoglianze, chiedendole di salvare dal suo computer le poesie che aveva compilato e che voleva pubblicare in Italia».
 

Claudia Julieta Duque lo definisce un amico, un poeta.
E anche un giornalista che con uno pseudonimo, fino a giugno 2018, avrebbe pubblicato articoli sulla Colombia per una testata italiana, e smesso proprio per non violare i principi della Missione. Ma, «la terza settimana di giugno, durante una riunione informale a Firenze - la capitale di Caquetá, dove opera l'Ufficio Regionale della Missione, da cui dipende il Sottosegretario Caguán - una collega ti ha accusato di essere una spia. Lo hai detto con una risata, perché hai sempre preso in giro l'assurdo. Oggi, con il tuo sorriso spento dalla tua partenza violenta e improvvisa, mi chiedo se quello non fosse un primo segno del pericolo». Che cosa è successo quel giorno, nemmeno lei però può dirlo ora. 

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