Whirlpool Napoli, dalla cessione del sito all’ipotesi spezzatino: sfuma il sogno del rilancio

Whirlpool Napoli, dalla cessione del sito all’ipotesi spezzatino: sfuma il sogno del rilancio
di Nando Santonastaso
Mercoledì 14 Luglio 2021, 23:30 - Ultimo agg. 15 Luglio, 18:30
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Voci, sussurri, silenzi. Il dopo Whirlpool a Napoli è ancora questo. Due anni e una valanga di annunci ma non c’è al momento sul tavolo nessun piano industriale in grado di garantire una seria e duratura continuità produttiva allo stabilimento. 

La partita, dicono a Invitalia, è nelle mani soprattutto del ministero dello Sviluppo economico. E non a caso ieri, dopo la decisione della multinazionale di procedere con i licenziamenti, la viceministra Todde ha confermato che si sta lavorando ad «un piano di rilancio – serio e resiliente – che stiamo costruendo insieme ad Invitalia». Ma su cosa si sta provando a costruire in alternativa alla chiusura del sito di via Argine non ci sono anticipazioni. Al Mise osservano che è una scelta obbligata quella della riservatezza delle trattative visto che ogni volta che è saltato fuori qualche nome non se n’è fatto poi più nulla. Evidentemente non tutte le proposte, o meglio le dichiarazioni di interesse, arrivate al ministero in questi ultimi mesi rispondevano alle esigenze minime di affidabilità. Che non siano state numerose, peraltro, è abbastanza certo: in tempi di pandemia e di economia quasi azzerata sarebbe stato un miracolo trovare un partner industriale disposto a rilevare l’intera manodopera (scesa nel frattempo a circa 340 unità) e ad assicurare la ripresa dell’attività produttiva. Oggi però che il Paese si sta rimettendo in moto, è più probabile (ma non scontato) che si possa ragionare in termini diversi. Ma su quali basi?

Gli scenari possibili, al netto dell’atteggiamento del governo nei confronti della multinazionale e del suo ulteriore e sconcertante ”strappo” di ieri, non sono molti.

Il più ottimista ruota intorno alla disponibilità di un gruppo industriale di rilevare lo stabilimento dalla Whirlpool e di assorbirne il personale. Ma qui già si innestano le prime varianti. Difficile ipotizzare l’arrivo di aziende dello stesso settore, ragioni di opportunità e logiche di mercato rendono assai improbabile che la multinazionale ceda Napoli a una sua concorrente anche se potrebbe essere “spinta” a farlo dal governo qualora la proposta di acquisto fosse davvero credibile. Ovvero, di un progetto importante sul piano dei costi (centinaia di milioni, se sarà recuperata tutta l’attuale forza lavoro) e delle prospettive produttive. Difficile immaginare che in pochi mesi, da quando cioè la trattativa è affidata al viceministro Todde, questo percorso sia stato pianificato, arrivando a certezze beneauguranti. Certi investimenti non nascono dalla sera alla mattina e le difficoltà con cui in Italia si batte la strada della riconversione di aziende industriali in crisi lo dimostra in tutta la sua drammatica evidenza.

 

Altro scenario: Whirlpool cede Napoli a un gruppo di un altro settore produttivo che si impegna a rilevare gran parte della manodopera, concordando con la Regione e gli enti locali percorsi di aggiornamento professionale. C’è chi a questa ipotesi associa persino un nome, quello di Hitachi Rail, l’azienda di trasporti ferroviari che sorge praticamente a ridosso del sito di elettrodomestici e che potrebbe ampliare i suoi confini organizzativi e logistici in virtù di importanti prospettive di mercato. Non è in assoluto una novità, lo stesso presidente di Hitachi Rail, Maurizio Manfellotto, che è anche il numero uno dell’Unione industriali di Napoli, ne aveva fatto cenno nella prima conferenza stampa dopo la sua elezione a Palazzo Partanna: una disponibilità di massima, disse, c’era stata ma poi non aveva avuto alcun seguito. Che possa tornare adesso al proscenio è tutto da dimostrare. 

Terzo scenario, il più delicato: il dopo Whirlpool nel segno di uno “spacchettamento” dello stabilimento e della sua manodopera, con più soluzioni cioè per l’uno e per l’altra, in termini di reimpiego. La via è sicuramente tortuosa, complicata, e non la incoraggiano certo i tanti, analoghi precedenti sperimentati in questi anni in Italia (i cosiddetti “spezzatini” industriali di fatto non sono mai decollati fino in fondo). In teoria però potrebbe essere anche la più praticabile: più partners anche di settori diversi, insediati nella stessa area, con costi decisamente più bassi rispetto all’acquirente unico. Resta da capire però con quali garanzie per l’occupazione.

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Di sicuro, ora che la situazione è cambiata, che non ci sarebbe cioè più la possibilità di scongiurare i licenziamenti visto che Whirpool ha rinunciato alle 13 settimane di Cig garantite e pagate interamente dallo Stato, il fattore tempo diventa decisivo. Servono scelte concrete e realistiche per la continuità produttiva, nella speranza che finora qualcosa in tal senso sia maturata al Mise. E serve tutto il peso del governo per evitare che la partenza del Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) coincida con una batosta occupazionale del genere in un’area che, non va mai dimenticato, proprio per la sua pesante condizione occupazionale ha permesso all’Italia di ricevere la quota maggiore di risorse del Next generation Eu tra tutti gli Stati membri.

È vero che nella legislazione nazionale non esistono norme in grado di prevenire e stoppare le decisioni più drastiche delle multinazionali straniere ma questo caso è fin troppo eclatante per annoverarlo tra i tanti percorsi accidentati dell’industria in Italia con cui periodicamente bisogna misurarsi. A Napoli il tempo dell’attesa è scaduto e tutti sanno che qui più che altrove ogni posto di lavoro perso vale doppio. 

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