Whirlpool Napoli, la solitudine di nonno Giuseppe in fabbrica: «Presidio io quando i lavoratori sono a Roma»

Whirlpool Napoli, la solitudine di nonno Giuseppe in fabbrica: «Presidio io quando i lavoratori sono a Roma»
di Alessio Liberini
Martedì 19 Ottobre 2021, 19:00 - Ultimo agg. 20 Ottobre, 09:38
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Mentre suo figlio, 30enne, è in presidio all'esterno del Mise con il resto degli operai Whirlpool di Napoli, lui resta in attesa di buone notizie da solo fuori dalla fabbrica - chiusa - di via Argine: «Ormai vanno a Roma tre volte a settimana» tuona l'uomo, amareggiato. Neanche l'inverno ed il freddo, giunto in questi giorni in città, ha fermato la lotta del 71enne Giuseppe Di Tuccio, ex operaio dello stabilimento di Ponticelli, che anche oggi ha scelto, a modo suo, di lottare per il futuro «dell'intero territorio».

Anche stamattina così, nonostante l'età ormai avanzata, ha scelto di accompagnare, a distanza, il grido di lotta dei circa 320 operai partenopei che da quasi 900 giorni battagliano per salvare il posto di lavoro. 

Di Tuccio, mentre i lavoratori sono nella capitale per il 27esimo tavolo di confronto al dicastero dello Sviluppo Economico, è restato così seduto in solitaria all'esterno della fabbrica chiusa dallo scorso 31 ottobre 2020, quasi come se non l'avesse mai lasciata davvero del tutto, nonostante il suo pensionamento arrivato ormai già diversi anni fa. 

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Con se porta una pettorina bianca, simbolo della vertenza, con su scritto «Whirlpool, Napoli Non molla» lo slogan che ha accompagnato in questi mesi i lavoratori, mentre nei suoi occhi, stanchi ma non rassegnati, si leggono cristallinamente i sacrifici fatti in questi anni per salvare quella che ad oggi è tristemente conosciuta come «l'ex area industriale della città» ma che fino a pochi anni fa era nota in tutto il mondo per la manodopera nostrana, considerata un'eccellenza internazionale ovunque, anche grazie al lavoro dello stesso Di Tuccio.

«Sono entrato - racconta l'ex operaio - in questa fabbrica che avevo poco più di 15 anni, c'era ancora l'Ignis.

Era il lontano 1967, ora ho un figlio 30enne che è qui in questo sito, anche lui ha figli e nipoti da sostenere». 

Nonostante la speranza, ancora viva, non nasconde le perplessità derivanti dall'ennesimo tavolo ministeriale tra il governo, le parti sociali e i rappresentanti della multinazionale statunitense.

«Oramai - chiarisce - a Roma ci vanno tre volte alla settimana, una volta non si fanno trovare (i politici ndr), un'altra volta vanno per fare campagna elettorale, la gente si è scocciata. Poi dicono che ai lavoratori partono i neuroni, ma purtroppo è così. Lo Stato dice che noi dobbiamo fare i figli, ai giovani naturalmente io sono troppo anziano, perché la popolazione sta invecchiando, li facciamo anche ma poi dove li mettiamo?».

Una storia industriale, quella del sito di Napoli Est, che oggi rischia di scomparire dopo anni di gloria ma che ancora adesso rivive, prepotentemente, nella memoria dell'ex operaio metalmeccanico.

«Prima - ricorda Di Tuccio - eravamo Ignis poi ci fu la Philips di Giovanni Borghi che a sua volta è passata alla Whirlpool che non so che casini ha fatto ed ancora oggi non si fa una legge per queste multinazionali che vogliono solo sfruttare».

«Qua - continua il lavoratore in pensione - abbiamo avuto i premi, mi ricordo che ebbi anche la pacca sulla spalla dal presidente della Whirlpool. Lavoravamo notte e giorno, c'erano i camion che ci aspettavano fuori per trasportare i materiali».

«Sono entrato che non ero nessuno ma poi ho imparato un mare di cose stando sempre disponibile e dedito al lavoro - zero assenteismo - tranne una volta che ero di festa per un infortunio: mi vennero a chiamare direttamente a casa per paura che mi fosse successo qualcosa. Infatti mi ero fatto male, porto ancora il segno dell'infortunio sulla mia mano a distanza di anni. Addirittura mi mandarono a chiamare nonostante fossi stato refertato dall'infermiera che mi aveva concesso la giornata di riposo perché stavo rischiando di perdere un dito».

«Già con Ignis - spiega - avevamo una fama mondiale, abbiamo vinto tanti premi. Capitò anche con Whirlpool tanto che dopo un nuovo premio, riconosciuto a livello internazionale, il presidente della multinazionale ci venne a trovare ed io ebbi anche un plauso su un biglietto in cui si leggeva che era considerato il "miglior operaio", mi aspettavo almeno una medaglietta invece il giorno seguente ero di nuovo in fabbrica».

Mentre restano tanti, a molti tra parti sociali e semplici lavoratori, i dubbi di questa cessione quasi "inaspettata". «Whirlpool - precisa - ad oggi sta ancora pagando i lavoratori. Se non andava bene lo stabilimento ci avrebbero congedato con la liquidazione, eppure stanno ancora pagando. Qua c'è qualcosa che non quadra».

Tanto è vero che il braccio di ferro tra azienda ed istituzioni italiane va avanti da tempi record, ormai sono difatti quasi tre anni, ma purtroppo nulla sembra muoversi neanche con il terzo governo che sta provando a Roma in queste ore a trovare una quadra sulla spinosissima vicenda. A non avere dubbi è però Di Tuccio che chiarisce: «Qualsiasi cosa accada io resto qua ad aspettare i lavoratori che tornano dal presidio».

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