Whirlpool Napoli, la laurea di Italia e il presidio che continua: «Alla politica chiediamo concretezza»

Whirlpool Napoli, la laurea di Italia e il presidio che continua: «Alla politica chiediamo concretezza»
di Alessio Liberini
Venerdì 4 Febbraio 2022, 22:21
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Le mani sono ancora vistosamente tremolanti con gli occhi che restano lucidi dall’emozione mentre, di tanto in tanto, lo sguardo cade - quasi ipnotizzato - su quella tesi che oggi ammira dal suo divano di casa. Italia Orofino, 49 anni, di cui oltre venti trascorsi a lavorare in fabbrica nell’ex stabilimento Whirlpool di Napoli, quasi non ci crede ancora mentre sfoglia il suo elaborato di laurea ancora in preda alla commozione: «È un sogno che si avvera» sussurra. Poi le dediche ai suoi due figli «meravigliosi compagni in questo bellissimo viaggio» e alle donne della Whirlpool perché «nonostante tutto credano sempre nei propri sogni».

Così, dopo anni di lotta – ancora oggi in corso - per difendere il proprio posto di lavoro un primo sogno Italia l’ha già realizzato. Quando, nel tardo pomeriggio dello scorso 2 febbraio, è diventata dottoressa in Scienze della Comunicazione con una tesi che la riguarda e non di poco. «Il lavoro delle donne in Italia negli ultimi quarant’anni. Trasformazioni economiche e resistenze culturali» è infatti il titolo dell’operato svolto dall’ex operaia di via Argine che quella «resistenza culturale» ancora oggi la vive, prepotentemente, sulla propria pelle. Ma, nonostante le tante difficolta di questi anni, non si è fatta scoraggiare conquistando, con le unghie e con i denti, quest’importante traguardo che ora ha un sapore di puro riscatto.

Lia, com’è conosciuta tra i suoi colleghi dello stabilimento di Ponticelli, aveva infatti lasciato l’Università appena ventenne «per problemi familiari». Catapultandosi, difatti, nel mondo del lavoro: un mondo pieno zeppo di sacrifici. Prima l’approdo nella fabbrica di lavatrici, dove aveva già lavorato suo padre, poi la famiglia e così l’Università passa in secondo piano perché «le priorità diventano altre».

«Però – ricorda oggi Italia – sentivo sempre un vuoto dentro di me che aveva l’esigenza di essere colmato. Perciò nel 2018 – quando la multinazionale del bianco comunicò a lei ed ai suoi colleghi l’intenzione di avviare una “nuova missione produttiva” con investimenti per circa 17 milioni di euro sul solo sito di Napoli – contenta anche dell’accordo che arriva con Whirlpool, convinta che economicamente ci sarebbe stata una svolta mi riscrivo all’Università». Ma, dopo solo qualche esame, a sei mesi di distanza la doccia fredda: quando l’azienda gli comunica che il sito partenopeo non è più sostenibile. Quindi prossimo alla chiusura. «A quel punto mi crolla il mondo e mi fermo – precisa Italia ancora in preda all’amarezza di quella comunicazione – Non c’era più la testa. Aprivo i libri e li richiudevo perché non riuscivo a concentrarmi. Anche in quel caso capivo che la priorità non era più lo studio ma il semplice futuro. Non potevo essere più la studentessa ma dovevo combattere per quello che ingiustamente mi stavano togliendo».

Poi, dopo soli 5 mesi, lo sprono gli arriva direttamente dai suoi due figli, Rosaria e Raffaele, che gli chiedono di tornare a studiare: «Fallo per noi». Così, nonostante la lotta operaia che entrava nella sua fase clou e i timori di un futuro incerto, ha ripreso i libri ed «esame dopo esame siamo arrivati alla laurea» racconta oggi senza nascondere la dovuta contentezza del momento. 

Dietro la gioia c’è infatti il frutto di sacrifici durati interi anni con la grana, ancor più pesante, di dover portar addosso con se, in contemporanea, il peso della vertenza che ancora ora pende su di lei e i suoi 316 colleghi. Italia, nonostante il percorso di studi intrapreso, ha sempre gridato con forza, in tutte le sedi e piazze possibili, il suo grido di rivalsa nei confronti di quell’azienda che, fino a qualche anno fa, considerava parte della sua famiglia: «Quel lavoro era tutto per me, era il presente ed era il futuro, dal momento che mi ha permesso di tirare su due ragazzi da sola».

«Ricorderò per sempre – chiarisce l’operaia napoletana - i miei presidi mentre studiavo. Il penultimo esame l’ho ripetuto nel viaggio fatto a Varese per la manifestazione del gruppo. Tra andata e ritorno ho studiato nel pullman perché il giorno dopo dovevo sostenere la prova».

Ed oggi, che è una neo dottoressa, l’obbiettivo resta sempre lo stesso. «Il mio futuro come lo vedo? A via Argine a lavorare al posto di dove stavamo prima. Bisogna riaprire quei cancelli, abbiamo bisogno di lavorare e tirare su le famiglie.

Ma soprattutto adesso che ho coronato questo sogno devo mettere in condizione i miei figli di fare altrettanto» precisa, senza neanche un velo di tentennio.

Le richieste di Orofino sono semplici ma allo stesso tempo umanamente meravigliose. Difatti sono le stesse dei suoi colleghi e di quella parte del Paese che è «l’Italia che resiste» come si sono autodefiniti, negli ultimi anni, gli ormai ex dipendenti della Whirlpool di Napoli. Su queste basi, e con la forza che il proprio nome poteva suscitare, nel ottobre del 2020 decise persino di scrivere una lettera al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che proprio ieri ha prestato giuramento per dare il via al suo secondo mandato da capo dello Stato.

«Signor Presidente, io non so se un giorno Lei leggerà mai questa lettera, ma lo spero con tutto il cuore. Mi chiamo Italia e da 22 anni sono un’operaia di Whirlpool Napoli e non credo che si debba aggiungere altro». Così iniziava il messaggio redatto tra lacrime di sogni infranti e la fiducia, sempre viva, di chi non si è ancora ne tantomeno vuole arrendersi.  

«Mi ha colpito molto il suo giuramento – ricorda, invece, oggi Italia a margine del primo giorno del Mattarella bis – in quel messaggio per tante volte ha ripetuto la parola dignità. Perciò ora gli direi che se dobbiamo ripartire bisogna dare dignità agli italiani. E, per dare dignità, bisogna dare il lavoro. Non si può permettere di far chiudere le fabbriche e lasciare tante persone, nel pieno di una pandemia, in mezzo ad una strada».

«Fare politica vuol dire fare il bene del Paese. Ecco perché ora gli chiediamo (alla politica ndr) quello che chiediamo da anni: la concretezza. Siamo stanchi delle parole». Sottolinea Orofino con la testa già al prossimo tavolo di confronto, il 32esmio in quasi tre anni di vertenza, convocato al ministero dello Sviluppo Economico. Dove, il prossimo 8 febbraio, dovrebbero arrivare, presumibilmente, dei passi in avanti per quanto riguarda il progetto – partorito la scorsa estate dall’esecutivo – per riassorbire le tute blu di Napoli Est in un lungimirante – ma almeno per ora poco chiaro – piano di reindustrializzazione del sito.  Con un Consorzio che dovrebbe acquisire lo stabile di via Argine per creare un’Hub della mobilità sostenibile. «Ci crediamo, ci dobbiamo credere nel progetto – chiarisce speranzosa Italia, senza nascondere tuttavia alcuni dubbi e perplessità – sono le promesse che ci hanno fatto loro. Non possiamo più essere presi in giro. Tante promesse, tante belle parole, ma la realtà è che oggi siamo in Naspi e che la Whirlpool è andata via».

L’aria nella fabbrica della periferia orientale della città è infatti ancora infuocata: nonostante siano passati quasi mille giorni dall’inizio della vertenza. Anni, mesi, giorni, ore e persino minuti: tutti scanditi da una lotta senza sosta sullo sfondo di tante promesse, disattese su più fronti, da parte dei tre governi che in questi anni i lavoratori hanno “affrontato” in ogni piazza ed in ogni sede possibile.

Solo questa mattina così circa un centinaio di tute blu si sono ritrovate, come sempre, nel Cral aziendale di Ponticelli mentre, a qualche passo da loro, prosegue lo svuotamento dei capannoni della fabbrica da parte della Whirlpool.  «Il prossimo 8 febbraio – racconta l’operaio Francesco Petricciuolosaremo a Roma non solo per noi ma anche perché la politica si deve svegliare. La nostra vertenza – sottolinea Petricciuolo – è una vertenza emblematica segna, in qualche modo, il lato negativo di una politica che non è in grado di trasformare un Paese produttivo quindi non è capace di fare una politica industriale per il benessere dei cittadini». Nel mentre, tra i lavoratori, è lampante l’elettricità del momento. Con il presidio che va avanti tra chi discute e spera nel consorzio e chi ormai ha quasi del tutto perso la sua dose di ottimismo nei confronti della politica. Ma, allo stesso tempo, c’è anche chi ancora oggi ricorda gli anni passati. Quando la politica si attivava, mettendoci la faccia, per far si che si sviluppasse una realtà industriale forte e decisa in quella che oggi è diventata tristemente nota ai più come l’ormai ex area industriale della città. Tra questi c’è l’operaio Giovanni Fusco che oggi al picchetto con se ha portato una vecchia medaglietta. «Donata dal presidente della Repubblica Giovanni Saragat» si legge sulla stessa - dove appaiono tre operai che guardano da lontano quegli stessi capannoni che nei prossimi giorni saranno definitivamente vuoti -  risalente all’allora lontano 1964, l’anno in cui venne inaugurata l’Ignis Sud che oggi rappresenta l’odierno stabilimento ormai ex Whirlpool.

«La medaglia commemorativa del presidente – chiarisce Fusco – ci fa capire che uno stabilimento, soprattutto al Sud e in questa area, ha una valenza che va oltre il punto di vista lavorativo, ma va anche sul fronte politico-sociale». «La nostra lotta – precisa l’operaio metalmeccanico –  ha un filo conduttore che viene dal passato». Ma ora, dopo quasi mille giorni di lotta, c’è davvero bisogno di futuro.

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