Addio a Galasso, Napoli si ritrova
«Non va dispersa la sua lezione»

Addio a Galasso, Napoli si ritrova «Non va dispersa la sua lezione»
di Davide Cerbone
Giovedì 15 Febbraio 2018, 09:22
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Alle undici in punto, nel grande salone traboccante di libri non c'è più spazio neanche per uno spillo. Circondati per tutto il perimetro dai volumi che lui tanto amava, più di quattrocento napoletani hanno sfidato la pioggia per portare l'estremo saluto al «professore».

I tre figli, Luigi, Francesco e Giulia, sono seduti in prima fila, accanto ai nipoti. Dietro di loro, il governatore Vincenzo De Luca e il suo assessore alle Attività produttive, Amedeo Lepore; più defilato a sinistra, con l'assessore comunale alla Cultura Nino Daniele e quello alla Scuola, Annamaria Palmieri, siede il sindaco Luigi de Magistris. Oggi, però, i politici si limitano ad ascoltare: così ha voluto la famiglia, che invece ha invitato a parlare due rettori che hanno conosciuto bene l'illustre storico: quello della Federico II, Gaetano Manfredi, e quello del Suor Orsola Benincasa, Lucio D'Alessandro.
 
 

Il compito di affrontare per prima la commozione tocca però a Renata De Lorenzo, presidente della Società napoletana di Storia patria. Qui, dentro il Maschio Angioino, i figli hanno voluto celebrare il funerale laico per il papà scomparso improvvisamente lunedì scorso a ottantotto anni. Il motivo lo spiega Giulia, sua figlia: «Ci siamo parlati e in poco tempo abbiamo realizzato che questa sarebbe stata la sede più idonea. È il posto dove ha trascorso tanta parte della sua vita: qui per vent'anni è stato presidente, ma anche prima e dopo quell'incarico ha fatto tante battaglie per questa prestigiosissima istituzione. Solo tre mesi fa in queste sale abbiamo festeggiato i suoi ottantotto anni ed era qui che dovevamo salutarlo tutti insieme. E poi, con tutti questi libri, è il luogo che più somiglia alla sua casa», spiega la signora Giulia, trattenendo a fatica le lacrime. Le lacrime non era riuscita a trattenerle la presidente De Lorenzo, che poco prima aveva raccontato dello «stupore per una fine che, nonostante l'età, è apparsa inattesa». Poche parole, e la voce si spezza in un pianto. «Qui Giuseppe Galasso ha dialogato con allievi e studiosi, consapevole dei problemi della sua terra. E qui ci ha insegnato che la storia non si improvvisa, ma è fatica quotidiana, analisi critica e metodo. Il calore che stamattina riempie questa sala è la prova della profonda traccia che ha lasciato. Noi ci impegneremo nella continua rilettura di ciò che ha scritto per trovare nuovi stimoli della sua ricerca», assicura la storica, prima di leggere un telegramma di cordoglio inviato dalla Federazione storica dell'Università della Provenza.
 

Di fronte a lei, ad affollare il salone-biblioteca al terzo piano, non ci sono soltanto i vertici delle istituzioni locali, consiglieri comunali e alcuni parlamentari napoletani, l'ex governatore Antonio Bassolino, ma anche l'economista Massimo Marrelli, ex rettore della Federico II, il presidente del Premio Napoli Domenico Ciruzzi, il maestro della fotografia Mimmo Jodice, la neo presidente del Madre Laura Valente e tanti tra studiosi, ex allievi diventati docenti universitari ed esponenti del mondo culturale napoletano: il filosofo Biagio De Giovanni, il matematico Guido Trombetti, lo storico dell'architettura Cesare De Seta, il dantista Enrico Malato, gli storici Luigi Mascilli Migliorini, Aurelio Musi e Anna Maria Rao, che furono suoi allievi, e ancora Paolo Macry, Piero Craveri, Emma Giammattei, Pietro Soldi, che fu nel nucleo fondativo di Nord e Sud, la sociologa Gabriella Gribaudi, il geografo Ernesto Mazzetti, Marco Rossi Doria, Eugenio Mazzarella, Sergio Marotta, Francesco Durante, Massimo Galluppi. Tutti qui a testimoniare che, dopo il grande vuoto lasciato poco più di un anno fa da Gerardo Marotta, l'addio a Giuseppe Galasso apre un nuovo cratere nella coscienza collettiva di una città che ha un gran bisogno di una visione, e dunque di visionari. Visionari lucidissimi, come sono stati, appunto, Galasso e Marotta.

In rappresentanza del mondo accademico, lo ricordano Manfredi e D'Alessandro. «Peppino Galasso è stato un intellettuale raffinato e uno studioso rigoroso - dice il primo -. Ha dato lustro alla Federico II e a tutta la comunità napoletana non solo come studioso, ma anche come grande maestro di tanti giovani. Il suo impegno si è concentrato nel cercare di capire le origini dei problemi del Mezzogiorno, ma con una visione che guardasse all'Europa, con consapevolezza del proprio ruolo ma senza rivendicazioni nostalgiche. A lui, inoltre, dobbiamo l'unica legge organica che abbiamo in Italia sulla tutela dell'ambiente», ricorda Manfredi. Gli fa eco il rettore del Suor Orsola, dove Galasso ancora insegnava Storia moderna. «Con profonda commozione ricordo un amico che è stato un punto di riferimento per gli storici e la cultura di tutta Europa. Un uomo ineguagliabile per la sua visione globale del sapere, caratteristica che appartiene solo ai grandi maestri», dice D'Alessandro. «Oggi - aggiunge - rappresento l'associazione ex allievi dell'Istituto italiano per gli studi storici e mi sembra di rivederlo ancora seduto non sulla cattedra ma su un banco laterale, defilato ma più luminoso, a Palazzo Filomarino. Per ricordarlo, il Suor Orsola, che gli conferì la laurea honoris causa per la legge sull'ambiente, organizzerà a maggio con gli ex allievi un dialogo sull'Europa con De Giovanni e Craveri», annuncia il rettore. Dopo di lui, Andrea Giardina, presidente della giunta centrale per gli studi storici, esprime «dolore immenso, mitigato dalla gioia di sapere che se ne è andato con la sua intelligenza smagliante ancora intatta. Per la sua dimensione di scienziato e intellettuale, lo veneriamo come il padre degli storici italiani», dice. E subito dopo ne ricorda «l'intelligenza, l'immensa cultura, l'umanità e l'incantevole mescolanza di autoironia e ironia che lo rendeva affascinante».

 

Ma è il figlio Luigi a raccontare il Galasso privato: «Perdiamo un grande padre. Un uomo di immensa generosità con i figli e con i nipoti, ma anche con i tanti che a lui si rivolgevano come studioso, intellettuale, professore. Come maestro, che è forse la parola più bella. Ricordo lo studio instancabile anche durante le tante notti insonni, la sua incredibile memoria, la cura maniacale nel rileggere e correggere tutto ciò che scriveva. E poi le vacanze nella casa di campagna a Cusano Mutri, dove portava casse di libri. Mio padre - continua Luigi Galasso - era un accumulatore di libri. Negli anni ne ha collezionati oltre quarantamila». Infine, arriva il momento degli amati nipoti: lo storico ne parlava con molto orgoglio, e ad ascoltarli si capisce perché. «Per me sei stato soprattutto un grande nonno - confessa Ludovica -. A volte un po' severo, ma era solo per insegnarci a mordere la vita». Prima di lei, parla l'erede, almeno all'anagrafe: Giuseppe Galasso, stesso nome e stesso cognome, ha 21 anni e studia ingegneria meccanica. «Era un professore, ma anche insegnante di vita: un nonno molto moderno, un amico con cui scherzavo e ridevo. Per questo lo cercavo per consigli e aiuti di ogni tipo. Mi mancherà il suo possente abbraccio», dice. «Ciao, nonno», si congeda. Poi corre a studiare per gli esami che si avvicinano. Anagrafe a parte, l'eredità, oggi più che mai, bisogna conquistarla.
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