«La mia odissea dall'Afghanistan alla libreria di Pomigliano, così mi hanno salvato»

«La mia odissea dall'Afghanistan alla libreria di Pomigliano, così mi hanno salvato»
di Giovanni Chianelli
Domenica 6 Marzo 2022, 11:47 - Ultimo agg. 7 Marzo, 13:33
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A chi lo incontra adesso, sorridente, tra gli scaffali della libreria Wojtek di Pomigliano D'Arco, Najeeb Farzad racconta di essere un uomo felice. Ne ha i motivi: da poco è riuscito a portare con sé dall'Afghanistan, dove è nato 38 anni fa, la madre, la moglie e i suoi figli. Nel suo Paese rischiava la libertà e la vita perché Farzad è uno scrittore, giornalista e attivista, direttore della Ong Asia Culture House e consulente dell'Afghan Human Rights Home. Oltre alle collaborazioni con le testate «Democracy Weekly» ed «Etillat Roz», ha scritto, tra gli altri, un libro di successo, Ghawghay eshiq, in italiano il titolo è La mischia dell'amore. Un punto di riferimento, nel periodo in cui l'Afghanistan ha tentato una via democratica. E ora, col ritorno dei talebani, in cima alla lista dei cittadini invisi al regime.

Cosa ci faccia a Pomigliano fa parte delle storie dal finale lieto e nasce da un piccolo festival di letteratura indipendente, «Flip». A inizio settembre scorso viene organizzata la prima edizione della manifestazione; l'ideatore, insieme a Fabio D'Angelo e Maria Carmela Polisi, è Ciro Marino, napoletano di 37 anni che qualche anno fa lanciò la casa editrice Ad Est dell'Equatore e nel 2018 il nuovo marchio Wojtek, recentemente alla ribalta editoriale italiana perché ha due titoli in lizza per il Premio Strega 2022.

Marino invita Farzad tra gli ospiti di «Flip» e lo scrittore afgano accetta. È fine agosto, proprio mentre si sta preparando all'arrivo in Italia le truppe statunitensi lasciano il Paese e il campo libero ai talebani: partenza impossibile, il pensiero principale è non farsi trovare dagli integralisti.

Marino, allora, prende a cuore la storia di Farzad. Tramite il sindaco Gianluca Del Mastro si mette in contatto con la Farnesina il cui titolare è il pomiglianese Luigi Di Maio. E nel giro di alcuni mesi attiva le pratiche per consentire l'arrivo di Farzad e della sua famiglia che nel frattempo vive nascosta a Kabul. Ma qui inizia una piccola odissea per il gruppo afgano: a inizio dicembre si mettono in viaggio, in clandestinità, verso i confini col Pakistan.

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«Quando arriviamo alla dogana solo mia madre e io abbiamo i visti per oltrepassare il confine, così fanno passare solo noi due strappandomi di mano moglie e figli», racconta. Sono giorni terribili, poi Farzad riesce a intercettare un traffichino che gli procura dei visti falsi per i familiari rimasti in Afghanistan. Di nuovo uniti, percorrono con mezzi di fortuna i 400 km che portano a Islamabad, la capitale pakistana. Qui entrano in contatto con l'ambasciata italiana e a gennaio possono partire.

«Ma c'è un nuovo problema con i visti falsi di mia moglie e dei miei figli. Degli amici fanno richiesta al mio Paese, dopo varie lungaggini vengono rilasciati, ma il ministero non può spedirmeli via mail».

Allora Farzad e famiglia devono tornare al confine e, dopo nuovi accordi con i doganieri pakistani e afgani riescono a far entrare la donna e i bambini per pochi minuti, utili a stampare i documenti. Ritornano a Islamabad, prendono l'aereo e, con tappa a Istanbul, finalmente riescono ad atterrare a Capodichino a inizio febbraio.

L'accoglienza della città è calorosa. Un parroco, don Giuseppe Gambardella, gli mette a disposizione un piccolo appartamento e la nuova vita può ricominciare: i bambini vanno a scuola e frequentano gratuitamente dei corsi di karate, l'assessorato alle Politiche sociali offre dei voucher da spendere nei negozi pomiglianesi. Farzad, che con la moglie sta seguendo corsi di italiano alla Benedict School, in attesa di riprendere il lavoro di giornalista e scrittore per adesso dà una mano a Marino tra la libreria e la casa editrice: conosce bene l'inglese, può aiutare nelle traduzioni. «E poi abbiamo in mente di raccontare la sua vicenda in un libro», annuncia l'editore. Restano le terribili testimonianze di un Paese di nuovo sotto la morsa dell'integralismo:

«Dall'arrivo dei talebani la mia Ong è stata chiusa; le donne non possono praticamente più uscire di casa, per le associazioni artistiche e le forme di democrazia che si stavano sviluppando è finita. E tanti attivisti sono stati arrestati o uccisi», dice lui con dolore. E mentre l'intervista sta finendo mostra il telefono: «Proprio oggi uno scrittore, Azizullah Wafa, un caro amico, è stato ucciso». E sempre di oggi la notizia dell'irruzione dei talebani in casa sua: «Per fortuna sono qui, la mia vita è salva».
 

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