Il garantismo nel saggio di Alessandro Barbano: «Basta con la giustizia autoritaria»

«L'obiettivo di questo libro è quello di riportare la giustizia nel rapporto con la vita»

Alessandro Barbano
Alessandro Barbano
di Ugo Cundari
Sabato 3 Dicembre 2022, 09:00
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Sono passati più di trent'anni da quando Leonardo Sciascia coniò l'espressione «i professionisti dell'antimafia», intendendo che la lotta alla criminalità organizzata può trasformarsi in strumento di potere che può facilmente diventare incontrastato e incontrastabile.

Solo oggi un giornalista ha trasformato le idee dello scrittore di Racalmuto in un saggio-inchiesta, L'inganno. Antimafia. Usi e soprusi dei professionisti del bene (Marsilio, pagine 245, euro 18), presentato ieri al Circolo nazionale dell'Unione. L'autore, il giornalista Alessandro Barbano, già direttore de Il Mattino e oggi condirettore di Il Corriere dello Sport, è ben consapevole delle critiche pesanti che gli possono muovere («le stesse riservate a Sciascia, che si diceva facesse il gioco dei mafiosi»), ma la sua è una battaglia di garantismo per dimostrare che anche una lotta dura e spietata come quella contro la criminalità organizzata «può fare a meno di rimedi autoritari e illiberali, senza per questo uscirne fuori più debole». Secondo il direttore de Il Mattino Francesco de Core «questo non è un libro neutro, non è un libro di sole parole, di divagazioni. È un libro di storie, numeri, dati oggettivi che svela ipocrisie e contraddizioni dell'Antimafia, nel segno di una retorica dell'emergenza che ha accelerato il processo di sclerosi del tessuto elastico della democrazia».

«Nel nostro paese si è insediato un paradigma di lotta alla mafia che dal punto di vista formale è rispettoso della logica di fondo, ma dal punto di vista dei contenuti svela, in tantissimi profili, scollamenti con l'impegno dello Stato a tutela dei diritti della persona» dice Vincenzo Maiello, ordinario di Diritto penale alla Federico II. Più critico Raffaele Cantone, procuratore di Perugia: «Le premesse del libro sono condivisibili.

Io sono il primo a sostenere che ci può essere un'antimafia non arrabbiata ed è sbagliato considerare i giudici che si occupano di criminalità come salvatori della patria. Però Barbano giunge a conclusioni radicali che non condivido. È sbagliata la sua critica assoluta al sistema dell'Antimafia, al sistema delle misure di prevenzione, al sistema delle confische». D'altra parte, aggiunge Cantone, «è sacrosanto diritto criticare l'operato dell'Antimafia, e metterne bene in evidenza le patologie, ma il rischio che se ne parli in questo modo può dar luogo all'ennesima operazione divisiva tra giustizialisti e non».

Barbano risponde che «l'obiettivo di questo libro è quello di riportare la giustizia nel rapporto con la vita. Questo è un paese in cui lo stesso giorno si può essere assolti perché il fatto non sussiste e anche confiscati, perché la condanna è fatta di prove e la confisca di indizi. Che dire a chi rimane in carcere per quasi duemila giorni e poi viene assolto? E a chi, per togliersi di dosso un'interdittiva, ha come unica soluzione il suicidio? Io non racconto errori giudiziari, ma effetti collaterali di una lotta che in nome del bene risulta peggiore del male». Per il filosofo del diritto Biagio De Giovanni «è impressionante il coraggio con il quale Barbano sostiene fino in fondo le sue tesi, a cominciare da quella secondo cui la lotta alla mafia, se non rispetta la sacralità della fattispecie, ha un carattere mafioso perché poi non c'è più distinzione tra lecito e illecito». 

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