Alessandro Gallo, il figlio del boss che ha cambiato vita: «Così il teatro mi ha salvato dai clan»

Alessandro Gallo, il figlio del boss che ha cambiato vita: «Così il teatro mi ha salvato dai clan»
di Ugo Cundari
Martedì 15 Ottobre 2019, 09:01
3 Minuti di Lettura
A un ragazzino di quattordici anni capita sotto gli occhi un giornale. In prima pagina c'è la foto del padre. Rimane impietrito, il suo sguardo perde d'un colpo tutta l'innocenza della giovane età. Legge l'articolo. Parla della camorra, di quella più spietata di Napoli. Suo padre, Gennaro Gallo, ne è uno degli esponenti di spicco, un boss, oggi a piede libero dopo dodici anni di carcere per essere stato un imprenditore molto legato alla malavita. Ci sono anche altri suoi familiari, come la cugina Cristina Pinto, detta Nikita, terrore del rione Traiano, mitizzata dai giornali come la prima spietata donna killer della camorra, che sconterà ventiquattro anni dietro le sbarre. Da quel giorno la vita del ragazzino, Alessandro Gallo, che oggi ha 33 anni e vive a Bologna, è dedicata all'educazione alla legalità con spettacoli di teatro civile. Esce oggi un suo romanzo che prende spunto da quell'esperienza, Era tuo padre (Rizzoli, pagine 162, euro 14). È la storia di tre figli di un boss, due scelgono di difendere gli interessi del clan, l'altro, una ragazza, di essere diversa, con tutti i tormenti che ne conseguono.

Gallo, che cosa ricorda di quel giorno che le ha cambiato la vita?
«Mi è mancato il respiro. Quando ho aperto la bocca come se fossi appena uscito da un'immersione sott'acqua si era avviato il processo per diventare un'altra persona».

Fino ad allora non aveva mai avuto la sensazione di appartenere a una famiglia camorrista?
«A 8 anni già frequentavo carceri per andare a trovare i parenti reclusi ma non mi ero mai chiesto perché, non avevo mai pensato di vivere io e loro una vita sbagliata, però qualcosa, forse, lavorava dentro di me, nel profondo sapevo che erano vite false. Ho aperto gli occhi dopo l'articolo e dopo un altro episodio».

Quale?
«Con un gruppetto di amici devastai le scenografie del teatro della scuola. La professoressa non ci diede una delle solite punizioni, ci obbligò a entrare a far parte della compagnia di recitazione. I primi giorni me ne sono stato tutto il tempo seduto in platea a pensare che quella era una pacchia. Poi il palco esercitò il suo incantesimo, e mi salvò la vita».

 
Perché?
«Mi offrì l'alternativa alla camorra. A 10 anni, se raccontavo ai compagni di classe che un mio parente stava al 416 bis sapevo di essermi guadagnato la loro ammirazione. Il teatro mi ha insegnato a vedere le cose dalla prospettiva giusta, a non aver paura di farmi attraversare da una tempesta per cambiare vita».
Ha rinnegato suo padre?
«Ho rinnegato le sue scelte, lui era un colletto bianco della camorra, quella parte peggiore che crede in un sistema di avidità e sopraffazione convinto di non sporcarsi le mani. Rinnegare mio padre no, non ce la faccio. Lui ha scontato la sua pena e adesso è un uomo pulito, vive al rione Traiano, anche se è originario della Sanità. Andiamo d'accordo».
Con sua cugina?
«Lei ha sofferto molto, è stata incasellata nel personaggio della prima donna killer della camorra, ma non è vero. Ha commesso diversi reati ma anche lei, adesso, fa una vita onesta e ha un lavoro».
Che cos'è la camorra?
«Tutto può essere camorra. È un atteggiamento, è l'arroganza di un potere che si impone agli altri a tutti i costi».
Si sente un eroe?
«No, ce ne sono tanti più coraggiosi, figli di camorristi che hanno fatto una scelta diversa vivendo dentro il sistema più di me. L'unica differenza è che io quella scelta l'ho maturata consapevolmente, studiando i camorristi, parlando con loro, aspettando il momento migliore per uscirne senza che nessuno me lo potesse impedire. Ci ho messo una ventina d'anni, ma alla fine ce l'ho fatta. Per mantenermi all'università a Bologna ho lavorato di notte al mercato. Non ho mai avuto dubbi sul mio destino, lo volevo scegliere io».
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