Fermoposta Malinconico, De Silva: «Chi si accontenta non gode»

Fermoposta Malinconico, De Silva: «Chi si accontenta non gode»
di Diego De Silva
Domenica 19 Agosto 2018, 20:00
4 Minuti di Lettura
Caro avvocato Malinconico,
sapessi quante volte ho sentito mie le tue domande, mio il tuo rimuginare. Nella vita ho anteposto e antepongo la mia storia d'amore a tutto e non voglio smettere. So che non puoi darmi delle risposte senza conoscermi, ma vorrei tanto sapere da te cosa faresti se ti trovassi ad amare qualcuno che non sai, e chissà se mai saprai, se ti ama davvero.
Ci sono giorni in cui mi sceglie, altri in cui mi dimostra che sono un gioco bello, avvincente, ma che non conto più di tanto. Di me posso dirti che sono rimasta bella, comprensiva, affidabile; di lui che non lo so, che lo amo per come è, che non cambierei nulla di lui e voglio che si senta libero di essere se stesso, per questo ho accettato di tutto, ma se mi stessi sbagliando?
Qualsiasi cosa tu mi risponda, sappi che per me sei un mondo bellissimo, Vincenzo Malinconico.
Karis


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Cara Karis,

conosci Minuetto, una bellissima canzone di Mia Martini? Il testo era di Franco Califano, e racconta di un amore succube, da lei (la voce cantante, meravigliosamente arrochita dalla frustrazione) vissuto nella piena consapevolezza di essere al più una comparsa della vita dell'uomo che ama e si prende la libertà di arrivare quando vuole, semplicemente suonando alla sua porta, certo com'è che lei gli aprirà, e sarà finanche felice di così poco (E vieni a casa mia/ quando vuoi/ nelle notti più che mai/ Dormi qui, te ne vai/ sono sempre fatti tuoi/ Tanto sai che quassù male che ti vada avrai/ tutta me, se ti andrà/ per una notte).

Troppo facile, davanti a una simile evidenza, chiedersi come si faccia a restare in una relazione senza scambio, che nega i fondamenti logici di ogni relazione contrattuale, una sorta di patto scellerato dove uno elargisce e l'altro prende, sgravandosi da ogni reciprocità; eppure - ce lo insegna la vita - l'amore spesso discrimina, sacrifica, defrauda, ammala, genera dipendenze patologiche in cambio di piccole dosi di felicità; e il vero problema è che quando questo succede - quando ti ritrovi ad essere la donna della canzone che apre la porta all'uomo che le dà il poco di cui non sa fare a meno l'amore che umilia e attanaglia è amore vero e profondo, insieme felicità e annichilimento, disperazione e sollievo, e poco vale che l'altro ricambi in pieno o solo in parte, che sia nel patto sentimentale, che domani si svegli nel nostro letto o abbia già lasciato la nostra casa quando ci alziamo: la sola cosa che conta è la comparsa di quella persona in cui abbiamo eletto l'unicità, l'intimità, l'odore, la bellezza, la gioia della sua presenza e della sua compagnia, il tempo che ci darà, quasi la vivessimo come un privilegio, un'immeritata fortuna di cui approfittiamo a mani basse appena ci viene data l'occasione. Come chiamare questa esclusività, questa preferenza assoluta, questa indifferenza al futuro a vantaggio del presente, questa infungibilità dell'altro, se non amore?

Ma ecco il punto (su cui non mi azzardo a dare giudizi, limitandomi alla spietatezza della domanda): è felicità, questa? Sei sicura che sia la tua unica felicità possibile, la sola che ti meriti? Detta diversamente: è sufficiente, questa felicità temporanea (che è un po' trailer di felicità), a reggere una vita? A scorrere nei tuoi giorni, nei tuoi progetti, nei tuoi desideri, a darti quella fiducia di fondo che ti protegga dalla solitudine (non quella che vivi da sola, ma quella che ti assale quando lui va via e non sai quando tornerà)?

Ci deve pur essere - andiamo - un momento in cui i grumi si sciolgono, le difficoltà si semplificano, ciò che si è rinviato a tempo indeterminato inizia a decorrere, le distanze si colmano e dei passi, molto semplicemente, si fanno; un momento in cui, per dirla in tre parole (per nulla esagerate, se ci pensi) l'impossibile diventa possibile. È il momento in cui, credo, cominciamo a chiedere di più (non agli altri, ma) a noi stessi, a non farci più sconti sui desideri, a piantarla di dire solo di sì. Ed è allora che gli altri vengono fuori per come sono davvero. E li vediamo nella loro interezza, in quei tratti immodificabili che a un tratto ci appaiono stanchi, qualche volta mediocri. Prendere o lasciare, allora, diventa un'opzione facilissima da esercitare; e ci accorgiamo, sorprendendoci di noi stessi, che non lo avevamo mai fatto.
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